IL RICORDO PERDUTO

di Domy


Chang emise un profondo sospiro e appoggiò sul lavello l’altissima fila di piatti appena raccolta dai tavoli vuoti del ristorante.
- Cosa c’è? – domandò Jet dalla porta di servizio, sulla quale stava fumando l’ennesima sigaretta.
- Pensavo che da quando Bretagna è stato scritturato per quel ruolo a teatro non potrò contare per niente sul suo aiuto!
- Bè – intervenne Joe sorridendo, porgendogli un’altra, ancor più alta, pila di stoviglie – per adesso ci siamo qui noi! –
- Appunto: per adesso! Tu parti domani per quell’ingaggio, gli altri rientrano tra una settimana e qui restano solo Françoise e quello lì! – disse indicando Jet con la punta di un coltellaccio sporco.
- E allora? Non ti siamo d’aiuto? - bofonchiò Jet.
- Françoise, forse, ma non posso certo farle fare dei lavori pesanti!
Jet rise.
– Ah! Ecco qual’ era l’utilità di Bretagna!
- Jet, per un po’ potresti aiutare tu nel ristorante – disse Joe – lo sai che Chang ha riaperto da poco e non può ancora permettersi di pagare adeguatamente il personale. Solo qualche giorno, finché non torniamo tutti. E poi dici sempre che ti annoi!
- Sei matto?! Lo sai che in vita mia ho fatto di tutto, ma l’unica volta che ho fatto il cameriere me ne sono andato rischiando l’arresto!
- Che hai fatto?
- Semplicemente non sopporto l’arroganza di certe persone che ritengono che la schiavitù non sia ancora stata bandita dalla società civile!
- Uhm…hai cercato di picchiare il cliente o il proprietario? – chiese Joe.
- Entrambi!
Chang sospirò di nuovo.
– In ogni caso non mi verrebbe mai in mente di farti servire ai tavoli. Mi serve qualcuno per sistemare la cucina, lavare le stoviglie, scaricare gli alimenti…insomma, questi lavori qui!
Jet lo fissò un attimo, ascoltando con interesse.
– Ora capisco perché quel poveraccio di Bretagna si lamentava sempre!
- INSOMMA, VUOI PIANTARLA?! MI AIUTI OPPURE NO??
Jet continuò a fissarlo, con l’aria di chi sta riflettendo sulla risposta più adeguata.
- No!
Chang lo fulminò con lo sguardo.
– Lo sapevo! Bell’amico!
- Scherzavo!
- Dici sul serio?? Mi dai una mano? Grazie!!Sei un grande amico!!!- Jet si ritrovò con un cinese attaccato alla vita che strofinava la testa contro di lui come un cane in adorazione del padrone.
- PIANTALAAA!!!
Joe e Françoise scoppiarono a ridere. In quel momento la porta del locale si aprì ed entrò Bretagna in compagnia di qualcuno.
- Tu guarda! A me non manifesti tutta questa gratitudine quando ti aiuto!
- Bretagna! Come mai da queste parti? Pensavamo che andassi direttamente a casa. – domandò Françoise.
- Volevo controllare come stava il mio cinese preferito! Vi presento Carol, ossia la principessa Regan di re Lear!
Jet e Chang non potevano credere ai loro occhi: davanti a loro apparve una bionda con la capigliatura stile Marilyn, preceduta dal più grande “paraurti” che avessero mai visto, sul quale il cotone della maglia dolcevita faceva un’enorme fatica a non strapparsi.
- Salve a tutti! Bretagna mi ha molto parlato di voi! – effettivamente tutti constatarono subito che anche il tono e il modo di fare erano quelli della tipica svampita dei ruoli di Marilyn!
Bretagna le spostò una sedia per farla accomodare, poi si rivolse a Chang.
- Volevamo chiederti se potevamo sederci qualche minuto per prendere degli appunti e se, magari, c’è rimasto qualcosa da mangiare: abbiamo lavorato fino ad ora!
- S..sì, certo… Vieni in cucina!
- Su che cosa avete lavorato fino alle 11 di sera? – sogghignò Jet sottovoce all’amico, non appena Bretagna si chiuse alle spalle la porta, prima interamente spalancata sul locale. Lui sembrò non cogliere affatto la malizia di quelle parole.
- Su cosa vuoi che abbiamo lavorato? La sto aiutando a entrare nel personaggio, visto che è la prima volta che si misura col ruolo di una “cattiva”. D’altro canto è ancora una delle poche persone che ho conosciuto, visto che le prove partiranno seriamente solo dopo il ricevimento di sabato.
- Non è che mentre lei entra nel personaggio tu cerchi di “entrare” in lei? – fece Jet ridacchiando. Finalmente l’amico colse il senso della battuta e lo apostrofò scandalizzato:
- Non dirlo neanche per scherzo! Il lavoro è sacro!
- Scusa, Bretagna…- disse Françoise perplessa guadando la donna, che intanto chiacchierava con Joe, dall’oblò della porta – ma quella ragazza sa recitare a teatro?
- Oh, capisco cosa vuoi dire. Effettivamente, quando l’ho conosciuta, ho pensato la stessa cosa. Ma ti dirò che, quando l’ho sentita recitare, sono rimasto impressionato dalla sua trasformazione. Certo, ci sono cose in lei che non possono essere “trasformate”, ma ci si fa l’abitudine. E poi non credo voglia fare teatro ancora per molto: sta cercando di passare al cinema! – detto questo uscì con due grossi piatti in mano e si diresse verso il tavolo di Carol.
- “Ci si fa l’abitudine”?! Come fa ad abituarsi a qualcosa che occupa metà palcoscenico?!? E poi com’è che non sta lì a fare il cascamorto come al solito? - commentò Jet.
Françoise rise.
– Non capisci che non è per niente il suo tipo? E’ vero che Bretagna non è insensibile a certe “grazie”, ma è ancor più vero che quando sta su un palco dimentica tutto quello che lo circonda. Io lo capisco bene. E poi, lui preferisce o le “femmes fatali” o le “damigelle”: una donna, per piacergli, deve essere o misteriosa o “pura” e semplice! Carol non rientra in nessuna di queste categorie! –
- Però ammetterai che ha fatto colpo anche su di te, altrimenti non ti saresti scomodata a controllare Joe!
- Questa, poi! Oggi sei veramente odioso! Se non fa effetto a Bretagna, perché dovrebbe farlo a Joe?
- Resta il fatto che hai controllato! – Françoise detestava Jet quando si divertiva in quel modo, soprattutto quando coglieva nel segno, ma lo sguardo indagatore verso Joe era stato piuttosto un riflesso condizionato!

Trascorse qualche giorno. Bretagna si recava al teatro anche se il cast non era completo. Nonostante avesse un ruolo minore, avvertiva il bisogno di riprendere al massimo il contatto con quel mondo che aveva lasciato tempo prima per dare la precedenza al cyborg 007.
Jet aiutava Chang al locale, accettando lo stato di “semischiavitù”: ormai aveva preso quell’impegno e poi la casa vuota lo deprimeva: perfino il dottore trascorreva molto tempo fuori in compagnia di un vecchio compagno di studi e Ivan era con lui. L’unica nota positiva era il fatto di lavorare tutto il giorno con Françoise senza dover assistere agli sguardi complici che si scambiava continuamente con Joe.
Sabato mattina Bretagna si decise a invitare gli amici al ricevimento con il quale la produzione inaugurava la nuova stagione teatrale: si trattava più che altro di un’occasione mondana per far incontrare gli operatori del settore. Essendo tornato Geronimo, Jet fu ben contento di defilarsi dal ristorante e di accompagnare Françoise. In altre circostanze si sarebbe rifiutato di andare con Bretagna in un posto del genere, ma era sempre meglio della compagnia del cuoco! Non gli dispiaceva neppure rivedere il “paraurti” di Carol, magari un po’ più scoperto dell’ultima volta! Si offrì perfino di guidare la macchina al posto di Bretagna.
- Non ho ancora capito che parte fai in questa commedia!
- Non è una commedia, è un dramma! Faccio la parte del Matto.
- Un ruolo che ti si addice!
Bretagna sorrise.
– E’ un ruolo secondario, ma è bellissimo! E’ la voce stessa di Shakespeare dentro la sua opera! E poi per fare questa parte bisogna avere un discreto scilinguagnolo…
- Ok, non ti ho chiesto di parlarmene! 
Jet aveva posto fine “gentilmente” alla chiacchierata, ma 007 non vi badò più di tanto: 002 non amava molto il teatro e poi quei giorni trascorsi a lavorare al ristorante non lo avevano certo messo di buon umore! D’altra parte, anche Bretagna aveva la testa occupata da vari pensieri e, stranamente, non aveva una gran voglia di presenziare alla serata: gli sembrava quasi di dover recitare la parte dell’attore, anziché esserlo davvero! Il fatto di andarci in compagnia dei suoi amici lo faceva rilassare un po’ di più.
Una volta entrati nella sala del ricevimento, Bretagna salutò un po’ di persone, presentando loro Jet e Françoise. 002 parve illuminarsi solo quando, da dietro a una porta, Carol fece la sua apparizione. Come da previsioni, quel che era celato la prima volta, questa volta era generosamente esposto sopra un reggiseno a balconcino e mostrato attraverso una scollatura che copriva a malapena i capezzoli.
– C-ciao! - fecero in coro Jet e Bretagna, senza guardarla in faccia e senza trovare la forza di staccare gli occhi dalle due “colline”! Françoise, che stava in mezzo ai due, vergognandosene terribilmente, tirò loro di nascosto dei potentissimi pizzichi, riportandoli all’ordine.
- Capisco che la ragazza sia dotata di due “calamite oculari”, ma cercate di comportarvi dignitosamente! – bisbigliò quasi ringhiando.
Carol sorrideva con il suo cocktail in mano, senza rendersi conto, almeno in apparenza, della scena, mentre Jet provò sottovoce a giustificarsi.
- Tu non puoi capire! Mica si vedono spesso, cose simili!
- A chi lo dici! – aggiunse 007 sottovoce.
- Ma tu non eri quello che si era abituato?!- obiettò 002.
- Si, ma sono abituato a vederlo coperto dalla maglia, mica così!
- Piantatela! – sibilò 003, esibendo subito un largo sorriso alla ragazza. – Ciao, Carol! Ti ricordi? Ci siamo conosciuti al ristorante!
- Certamente! E poi, quando io e Breat non lavoriamo, mi parla spessissimo di voi! Joe non è venuto?
007 cercò di distogliere l’attenzione dell’attrice dalla saetta che Fran aveva involontariamente scagliato con gli occhi!
- Ehm…no, lui è fuori per lavoro! Ma lo sai che il turchese ti sta benissimo?
- Trovi davvero?
“Come diavolo ha fatto a notare il colore?” si chiese Jet, mentre lo sguardo di Françoise tornava alla normalità. Fortunatamente, Carol si era lanciata in una fitta chiacchierata con G.B.
- …Ma perché non sei venuto, l’altro giorno? Io e Serge ti aspettavamo per bere qualcosa!
- Non potevo: avevo bisogno di studiare un po’!
- Non fai altro che studiare! Eppure fai questo mestiere da un milione di anni!
- Sono felice di sembrarti giovane! Comunque studiare è importante: c’è sempre qualcosa in più da imparare e poi ho capito già da ragazzo che i problemi che ho avuto all’inizio a decollare professionalmente erano legati soprattutto alla mia tendenza all’accidia! Riuscivo a impegnarmi solo se qualcuno mi pungolava o se c’era una sfida, altrimenti nulla!
- Ma poi ti sei impegnato!
- Perché ho avuto molte sfide e molte persone che mi pungolavano!
- Aspetta, voglio farti conoscere una persona: è l’attrice che interpreterà Cordelia; è arrivata qui ieri sera e ho scoperto che abbiamo già recitato insieme un anno fa!
Carol prese 007 per il braccio e si diresse verso una giovane voltata di spalle, dal fisico longilineo, con i capelli biondo-castano raccolti in alto evidenziando il suo lungo e sottile collo bianco.
- Janet, voglio presentarti mr. Bretagna…-
La ragazza si voltò, sorridendo, facendo l’atto di allungare la mano per presentarsi, ma, appena vide 007, sgranò gli occhi azzurri e impallidì come se avesse visto un fantasma; fu percorsa come da un brivido di terrore e fuggì fuori dalla sala.
- M…ma che le è preso? – fece Bretagna, vagamente inquietato da quella reazione.
- Non lo so, non ne ho la più pallida idea! – rispose Carol, basita anche lei. – Cerco di parlarle! Ti raggiungo tra poco! – disse, dirigendosi verso la terrazza dove Janet si era rifugiata.
- Caspita, ha avuto un vero attacco emotivo! – commentò Jet – E’ vero che sei brutto, ma reagire addirittura in questo modo!
- La conosci? - domandò Françoise, abbastanza turbata.
- Credo di non averla mai vista in vita mia! Forse le ricordo qualcuno…
- Può darsi. - sussurrò 003, cercando di nascondere all’amico la sua perplessità.
- E chi dovresti ricordarle? Mica ce ne sono molti, con la sua faccia! – disse 002.
Dopo qualche minuto Carol tornò in sala, col viso vagamente mortificato.
– Scusatela, ma dovete sapere che Janet è stata in cura da uno psicologo per anni dopo aver assistito da ragazzina alla morte del padre…
- Capisco…- disse mestamente 007 - ma se è così instabile, riesce a lavorare?
- Ecco, non è che lei sia instabile, solo che…- Carol si mordeva un poco il labbro, sentendosi in imbarazzo per quel che doveva dire – vedi, il decesso è stato causato da un incidente, ma lei sostiene che il padre sia stato ucciso…
- Non è che Bretagna gli ricorda l’assassino? – chiese Jet, col tono di chi vuol sdrammatizzare.
- No: sostiene che è proprio lui!

La serata si concluse senza che Janet riapparisse alla festa. 007 cercò di dissimulare l’accaduto per tutto il tempo, ma tornò a casa completamente sconvolto.
- Dai, cerca di non pensarci! – gli disse Françoise mentre rientravano ciascuno nella propria stanza – Vedrai che quella ragazza saprà superare questa cosa: dopotutto è già in cura da uno psicologo e sono passati diversi anni dal giorno dell’incidente; si renderà conto di quanto sia stato assurdo il suo comportamento e riuscirete a lavorare bene insieme!
- Si, certo…andrà sicuramente in questo modo. - rispose l’amico, sorridendole con poca convinzione. – Buonanotte!
Bretagna tolse giacca e cravatta e si buttò sul letto con tutti i vestiti, restando pensieroso a fissare il soffitto illuminato dall’abat-jour; a parte la tristezza di quella situazione, iniziò a domandarsi per quale ragione, realmente, quell’episodio l’avesse così scosso… Sapeva, senza ombra di dubbio, di non aver mai avuto a che fare con un delitto e neppure aveva mai sentito nominare il padre di quella ragazza. Si rispose che, probabilmente, temeva di avere una sorta di dejà – vu delle accuse più o meno esplicite che gli furono fatte dopo l’incidente di Harry Brown, ma quella storia era totalmente diversa… C’era qualcosa…qualcosa che gli sfuggiva completamente e che gli dava i brividi. Poi ebbe un’idea folle e accese il computer, mettendosi a fare ricerche sul decesso del padre di Janet.
“Edward Davis, morte accidentale”… Uscirono migliaia di articoli non pertinenti; avrebbe almeno dovuto chiedere qualche informazione in più! Iniziò a sforzarsi di restringere il campo delle ricerche, mettendoci anche il nome della figlia, cercando almeno il paese di origine, e fece un rapido calcolo a ritroso per capire più o meno in quale anno fosse morto. Finalmente, dopo aver trascorso quasi un’ora incollato al PC, trovò quella che sembrava la pista giusta: un trafiletto di cronaca nera dove si parlava del decesso di Edward Davis, diplomatico americano, ucciso da un colpo di pistola partito accidentalmente mentre maneggiava una delle armi d’epoca della sua collezione; a quanto pare, non v’era alcun dubbio che si fosse trattato di un incidente.
Partendo da lì, fu molto più semplice cercare altre informazioni: vi erano molti articoli sull’attività dell’uomo, elogiato da colleghi e uomini di cultura a causa del ruolo chiave che aveva ricoperto nel pacificare alcuni piccoli stati in Africa centrale…quest’altra informazione non fece altro che agitare ancor di più Bretagna, senza tuttavia che arrivasse a dare alcuna spiegazione logica al suo stato d’animo. Vi erano poi un paio di articoli scritti da tabloid di pettegolezzi, dove si rigirava il coltello nella piaga descrivendo la tragica scena della morte, con la giovane figlia che vi assisté impotente e che, “folle di dolore, incapace di accettare una fine così sciocca e insensata per un uomo di tale levatura, dichiarò, in preda al delirio, di aver visto un uomo entrare dalla finestra e uccidere il padre…”
“Detesto i giornalisti, quando si mettono a fare i drammaturghi!” commentò Bretagna, continuando a scorrere con gli occhi l’articolo, che prendeva una piega assai improbabile: “…una tragica fantasia? La polizia smentisce l’ingresso di chiunque nell’edificio. Ma i vicini, sia pure con una sorta di reticenza, parlano con convinzione di una presenza misteriosa, dalle fattezze di un uomo che lavorò come giardiniere per la famiglia molti anni prima e che fu ucciso proprio là da un rivale in amore: pare che da allora lo spettro si aggiri continuamente nell’edificio…”
007 scosse il capo con disappunto, salvo che si ritrovò inconsciamente a sussurrare: “…lo spettro…lo Spettro!” 
Questa cosa che gli era sfuggita gli parve un collegamento “naturale”, vista la sua storia personale. Si disse che, probabilmente, si era fatto tardi e che la stanchezza iniziava a tirargli brutti scherzi; che, con la luce del giorno, avrebbe rivisto tutto sotto un’altra prospettiva… Fece per spegnere il computer, ma un’ultima cosa, che non aveva messo a fuoco precedentemente, gli balzò agli occhi: la data del decesso corrispondeva, per una coincidenza assurda, a un giorno che né lui né i suoi compagni avrebbero mai potuto dimenticare: quello della loro fuga dai Black Ghost! Anche su questo, però, nulla che collegasse la sua vita a quella di Janet e nuovamente si chiese perché mai avrebbe dovuto esserci un collegamento.
Le “risposte” trovate in rete gli sarebbero dovute bastare per tranquillizzarsi, ma non ebbero assolutamente questo effetto…era come se fossero tutte troppo superficiali e incomplete e lui cercava qualcosa senza sapere cosa.
Prese il telefono e chiamò 008, che stava dall’altra parte del pianeta.
- Punma, dovresti farmi un grande favore: potresti “sbirciare” negli archivi della polizia in merito alla morte di un tale Davis, diplomatico americano? Ti invio il luogo e l’anno del decesso e altri dati che dovrebbero bastare…poi spediscimi quello che trovi sulla mail, ok?
Già 008 si era meravigliato non poco della telefonata, sapendo che, se da lui era giorno, 007 doveva aver chiamato nel cuore della notte, ma dopo aver ascoltato scosse il capo con disappunto.
- Non è che una “ricerca” di questo genere si possa fare in due minuti e inviare con tutta disinvoltura per posta elettronica! Perché non chiedi a Françoise, che è là con te?
- Non voglio farla preoccupare più del dovuto…
- Non capisco…di che si tratta?
- Prometto che dopo ti spiegherò tutto.
- Ok. Vedrò cosa riesco a fare…
- Grazie, sei un amico!
- Lo so!

L’indomani tutto sembrava essere tornato alla normalità.
Françoise si recò al ristorante di Chang insieme a Jet, che pregava in cinese che gli altri tornassero presto (Geronimo aveva altri impegni); il professore rimase a casa con Ivan e G.B. se ne andò in teatro.
Il cast era presente al completo e il regista presentò un calendario delle prove e degli appuntamenti successivi. Anche Janet era presente, a debita distanza da lui; mentre ascoltavano gli altri parlare, 007 sorprese due o tre volte la ragazza a cercarlo con gli occhi, come se volesse “studiarlo”. Alla fine dell’incontro, Bretagna si fece coraggio e cercò di avvicinarla per parlarle, ma Janet si defilò come un gatto, facendo finta di niente.
Il giorno seguente la scena si ripeté più o meno allo stesso modo, anche se Carol cercò di consolarlo dicendo che, dopotutto, il suo personaggio non doveva interagire con quello di Janet.
Carol prendeva tutte le cose con molta superficialità, ma era anche abbastanza ottimista: “Lascia che me la lavori io”, gli aveva detto, “e diventerà la tua migliore amica!”. Queste non erano certo le aspettative di 007, ma avrebbe desiderato almeno fugare dalla testa della ragazza l’idea che lui fosse un terribile assassino!
Quella sera, verso le undici, arrivò finalmente la mail con la tanto attesa ricerca fatta da Punma negli archivi della polizia. E lì i veri dettagli non mancavano.
Il corpo dell’uomo era stato trovato riverso sul pavimento accanto a un tavolino dove stavano appoggiate delle carte, in parte trascinate a terra dalla caduta; vicino alla mano stava una pistola del 1800; il proiettile, partito dall’arma, aveva forato la carotide con una traiettoria che partiva dal basso e aveva spaccato un piccolo quadro che stava appeso alla parete alle spalle dell’uomo. Dalla parte opposta della stanza, seduta alla scrivania a fare i compiti, c’era la figlia, che aveva assistito alla scena. Secondo chi aveva svolto le indagini, si era trattato senza dubbio di un incidente: Davis stava maneggiando la pistola e il colpo era partito per sbaglio. Questa versione era confermata da più fattori: non solo la traiettoria del proiettile e la sola presenza delle impronte digitali del defunto sull’arma, ma anche il fatto che le telecamere della villa, tutte ben posizionate, non avevano rilevato la presenza di intrusi e che la porta era stata trovata chiusa dai domestici che erano accorsi appena udito lo sparo; la porta del balcone era aperta, ma arrampicarsi da lì sarebbe stato complicato perfino per un individuo molto agile e, qualora l’assassino fosse – miracolosamente – riuscito a entrare e a fuggire dalla finestra senza essere scorto, avrebbe certamente lasciato delle impronte profonde in corrispondenza di questa nel terreno; inoltre solo Davis possedeva la chiave dell’armadio a vetri che racchiudeva la collezione e la chiave era al suo posto nello scrittoio. D’altronde era anche impossibile pensare vi fosse un assassino nella villa: il diplomatico si circondava solo di persone fidate, a meno che non servisse qualcuno da fuori per lavori occasionali, ed era molto amato da tutti. L’inchiesta riportava, ovviamente, la deposizione dell’unica testimone, ovvero della figlia, ma questa fu definita più che altro “un delirio dettato dallo shock”: la ragazza diceva che un uomo sconosciuto era apparso sul davanzale del balcone con la pistola in mano, si era avvicinato rapidissimo al padre e gli aveva sparato, per poi “volare via dal balcone”. Non vi erano ulteriori dettagli circa la testimonianza di Janet, ma il racconto valse ad aumentare vertiginosamente l’inquietudine di 007.
La causa era stata archiviata quasi subito, come accade in questi casi.
- Forse è meglio se smetto di pensarci! – si disse Bretagna esasperato, premendosi le tempie con le dita.

Il terzo giorno qualcosa cominciò leggermente a cambiare: Janet iniziò a non fuggire più con gli occhi, anzi adesso lo fissava con uno sguardo freddo e duro, rispondendo in modo distaccato al saluto e senza aprire nessuno spazio al dialogo. Per 007 questo era anche peggio dell’essere attaccato esplicitamente!
Fortunatamente avere la possibilità di raggiungere i suoi amici all’orario di chiusura del ristorante e liberarsi parlando con loro lo aiutava non poco. Françoise appariva leggermente preoccupata, mentre Chang e Jet minimizzavano la cosa senza troppi giri di parole.
- Francamente non riesco a comprendere perché ci stai così male… – diceva il cinese – Capisco che questa situazione ti fa venire in mente dei brutti ricordi, ma…
- Io credo proprio che tu stia diventando paranoico! - rincarò Jet, allungandosi con le gambe sulla sedia - Fossi in te non starei lì a tormentarmi tanto: ammesso che tu fossi un assassino, almeno te ne ricorderesti! Non è possibile che tu sia responsabile in qualche modo di questa faccenda!
Bretagna li ascoltava con l’espressione poco convinta.
- Si, lo so anch’io, tanto più che Carol mi ricorda sempre che questi atteggiamenti sono abbastanza normali per una che è in cura dallo psicologo da quando era ragazzina…
- Bè, se hai assistito alla morte violenta di tuo padre, stare in cura da uno strizzacervelli mi sembra il minimo sindacale! – commentò 002.
- Però…questa cosa mi mette a disagio…e poi…sento che qualcosa non va!
- Che cosa non va, a parte, appunto, alla sensazione di disagio? Non è mica colpa tua se assomigli a un’allucinazione! - l’atteggiamento dell’amico quasi iniziava a irritare Chang: lui era uno spirito pratico e detestava quando gli sembrava che gli altri volessero crearsi dei problemi immaginari!
007 si limitò a tacere, dal momento che non aveva risposte. Pensò che la cosa più logica fosse dare definitivamente retta ai suoi amici. I propositi erano i migliori: niente più ricerche sul padre di Janet, al lavoro fingere totale indifferenza, nella speranza che anche la ragazza si convincesse dell’assurdità dei suoi pensieri, e concentrarsi solo sulle prove.
Purtroppo Seven non aveva fatto ancora i conti con la sua parte irrazionale, la più sviluppata della sua personalità: quella stessa notte fu risvegliato in pieno sonno da una specie di incubo: si vide in piedi su una terrazza, circondato da gigantesche ali nere di corvo che spargevano piume intorno a lui; poi, di colpo, uno sparo, una mano stesa dentro una pozza di sangue; accanto alla mano una pistola antica, della quale vide tutti i dettagli e, immediatamente, il viso di Janet che lanciava urla lancinanti. Si sollevò di scatto dal letto, con lo sguardo terrorizzato. Non riuscendo a prendere sonno, scese al piano di sotto, a cercare qualcosa in cucina. L’idea era quella di preparare una camomilla o qualcosa di simile, ma le mani scivolarono istintivamente verso un’altra anta del mobile e andarono a tirare fuori una bottiglia di rum. Come un automa, evitando accuratamente di pensare, si versò un bicchiere tornò di sopra.

Uno dei vantaggi della condizione di cyborg era quello di riuscire facilmente ad ammortizzare una notte in bianco e le prove andarono bene. La giornata lavorativa era conclusa, ma riservava ancora delle sorprese. Bretagna si era fermato al bar con un collega; stava per ordinare un whiskey, ma quando l’altro chiese un caffè lungo bollente, decise di tenergli compagnia e fece altrettanto. Si girò al saluto di Carol alle sue spalle, senza aspettarsi minimamente che Janet fosse con lei!
– S…salve! – farfugliò. Non ebbe bisogno di dire alcunché, dato che fu investito dalla voce cinguettante di Carol.
- …e quindi parlavo a Janet dell’aiuto che mi stai dando e pensavamo, ecco, se non ti dispiace, che potresti dare una mano anche a lei a risolvere alcune scene, tanto tu sai tutto il copione a memoria, no?
In pratica, gli stava chiedendo di lavorare da solo con Janet finite le prove!
Janet seguiva il discorso di Carol in silenzio, limitandosi ad annuire ogni tanto e sforzandosi di alzare lo sguardo…ogni sua occhiata era penetrante e indagatrice.
Bretagna rimase sorpreso e sconvolto da quella richiesta, di cui era certamente Carol l’artefice…ma, se Janet era lì, significava che lo voleva anche lei.
Alla ragazza non sfuggì il suo disagio e, forse per la prima volta, gli rivolse la parola.
- Sta poco bene? Le trema la mano.
- N…no, è che…la tazza è bollente. - disse lui per giustificarsi, cercando di assumere un tono naturale e cordiale. – Bene! Possiamo trovarci oggi pomeriggio al locale del mio amico cinese!

Janet arrivò puntuale insieme a Carol e Seven le fece accomodare al piano di sopra, dove Chang aveva un piccolissimo appartamento in cui restavano qualche volta a dormire quando il lavoro era tanto o particolarmente faticoso.  Iniziarono a lavorare sul copione come se tutto fosse a posto. Carol andò via dopo circa tre quarti d’ora, lasciandoli da soli. Bretagna si impegnò al massimo per non lasciare spazi vuoti o silenzi tra loro; finse efficacemente la più totale naturalezza, al punto tale che anche Janet parve completamente assorbita dal lavoro e sembrava, almeno in apparenza, aver messo da parte i suoi dubbi e gli incubi del suo passato. Quando ebbero finito si era fatta ora di cena; scesero al piano di sotto dove, non essendo un giorno e un orario particolarmente movimentati, c’erano giusto un paio di tavoli occupati.
Chang non aveva voluto intromettersi nel loro lavoro e neppure si era affacciato dalla cucina per salutare le ospiti, ma quando vide Janet per la prima volta, le sembrò incredibilmente malinconica e trascurata; lo avrebbe fatto lo stesso, ma l’impressione che aveva ricevuto dalla ragazza fece sì che l’accogliesse ancor più cordialmente.
– Mangia qualcosa! Il tuo lavoro deve essere davvero faticoso: ore ed ore a provare senza mangiare nulla! Hai un aspetto così sciupato…
- Ehm…la ringrazio, ma mi creda, sto benissimo!
- Chissà perché a me non dice mai queste cose! – commentò Bretagna cercando di acciuffare qualcosa al volo dal piatto, per essere immediatamente schiaffeggiato sulla mano dall’amico.
- …Comunque è dimostrato che del buon cibo risolleva il corpo e lo spirito! Coraggio, non fare complimenti!
- Va bene…è davvero molto buono!
- Brava! Certe volte si sopravvalutano le proprie energie! Quando hai bisogno di rilassarti, vieni pure!
La situazione di quella giornata iniziò a ripetersi abbastanza di frequente. Janet alternava momenti di apparente normalità a fasi in cui pareva studiare Bretagna con lo sguardo, come se cercasse di trovare in lui qualcosa che andava al di là della semplice apparenza; alle volte pareva essersi tranquillizzata e aver abbandonato ogni sospetto, altre sembrava che aspettasse il momento in cui sarebbe crollata ogni finzione e l’assassino di suo padre si sarebbe rivelato per ciò che era. In realtà, questa era un’opzione che non desiderava affatto, un po’ per paura, un po’ perché, nel corso di quelle giornate, stava avvenendo qualcosa che, da un lato, la meravigliava, dall’altro le stava facendo provare delle sensazioni che non sentiva da molto tempo: Chang si stava quasi “prendendo cura” di lei, preparandole il pranzo ogni giorno, convinto (a ragione) che la ragazza si trascurasse: la cosa che stupiva Janet, era il fatto che lo facesse senza volere nulla in cambio e senza farle domande indiscrete su di lei e sulla sua vita; in più, non le faceva mai mancare parole di incoraggiamento se Carol o Bretagna raccontavano qualche episodio seccante avvenuto in scena; tutto questo faceva sì che, in quelle poche ore, si fosse ricreato intorno a lei un clima quasi familiare, un clima che aveva perso ormai da molto tempo… Bretagna osservava quella situazione con addosso una sorta di agitazione sottopelle; si domandava come avesse fatto Chang a catturare in quel modo la fiducia di Janet e lo guardava con una sorta di biasimo: avrebbe voluto che il rapporto con la collega rimanesse a un livello puramente professionale, non che diventasse la “nipotina adottiva” del suo migliore amico! 007 aveva notato anche un altro dettaglio: mentre lui impersonava vari personaggi che interagivano con Cordelia, facendo quasi da insegnante a Janet, la ragazza manteneva costantemente una sorta di distacco nel ruolo che rovinava la propria interpretazione, una sorta di “paura del contatto fisico”; eppure, non era questo che lo turbava.
La verità, purtroppo, era una sola: temeva che, specchiandosi nello sguardo di Janet, avrebbe visto anche lui l’assassino di Edward Davis.

Tic-tic-tic-taka-tic-taka-tic….
Il rumore martellava le tempie di Jet, togliendogli definitivamente la blanda speranza che aveva di prendere sonno quella notte. Senza rivestirsi, andò irritato verso la stanza di Bretagna ed entrò senza bussare.
- Che diavolo combini?! Ti rendi conto di che ore sono?!?
- Circa le tre e mezza! – rispose l’amico, senza cogliere minimamente il tono di rimprovero.
- Già è discutibile quello che fai: sei l’unico che usa ancora la macchina da scrivere al posto del pc! …Ma usarla addirittura in piena notte!!!
- L’ultima volta ho usato il pc, che si è spento all’improvviso facendomi perdere tutto il lavoro! La macchina da scrivere questo non lo fa!
A quanto pareva, 007 stava totalmente ignorando il nocciolo del problema e Jet iniziò letteralmente a ringhiare!
- Ti sto dicendo che devi piantarla immediatamente!!! Se sei così ispirato e non vuoi usare il pc, usa una cazzo di penna!!! Non puoi svegliare gli altri in piena notte!!
- Ma se siamo soli in casa! – quella sera, stranamente, per diverse ragioni, erano rimasti solo loro due.
- E IO NON SONO NESSUNO?! – evidentemente Bretagna aveva qualcosa che non andava! Tuttavia, il tono dell’ultima frase non ammetteva di essere ignorato.
- V…va bene, la smetto! - farfugliò, mentre Jet gli sbatteva la porta della sua stessa stanza in faccia e se ne tornava in camera sua imprecando. Bretagna sospirò e riguardò il foglio, mettendolo da parte.
Il punto era che, in quel periodo, la macchina da scrivere aveva una precisa funzione: serviva a distrarlo da pensieri abbastanza angoscianti, da sfogo e, non ultimo, il ticchettio prodotto dai tasti assumeva quasi una funzione “ipnotica” che catturava la mente impedendole di vagare altrove. Eliminata quella distrazione, il pensiero si spostò rapidamente dalla tastiera, a Janet, all’armadietto degli alcolici giù in salotto. Anche questa volta, fece finta di non essere lui a compiere il gesto meccanico di aprire l’anta, versare del whiskey nel bicchiere, berlo velocemente e tornare di sopra.
La cosa in sé non avrebbe destato l’attenzione di nessuno, fuorché quella di una persona molto attenta ai “rifornimenti alimentari”; le bottiglie stavano là, intonse, da un bel po’ di tempo: generalmente, si prendevano ogni tanto per bere qualcosa tutti insieme (e, in quel caso, sarebbero finite!) o per qualche ospite occasionale; fu il pensiero del periodo strano attraversato da 007 a mettere Chang sul chi vive e, dopo aver riflettuto pochi attimi, decise che la cosa migliore fosse far sparire gli alcolici dalla circolazione per un bel po’.
Nel tardo pomeriggio Françoise stava dando una mano al cuoco a risistemare alcune cose in soggiorno. Bretagna li stava praticamente ignorando, intento a leggere il giornale, ma alzò gli occhi quasi per un riflesso condizionato quando la francesina aprì l’armadietto delle bottiglie, rivelando la sparizione del contenuto! La ragazza non vi fece praticamente caso, spostandosi rapida nell’altra stanza, mentre 007 sollevò lo sguardo su Chang che, con indifferenza, si era venuto a sedere al tavolo con la pipa in mano; non riuscì a non domandargli il perché della cosa, quasi facendo finta che la questione non lo riguardasse.
- Non avevamo un paio di bottiglie, lì dentro? – fece, senza sollevare gli occhi dal giornale. L’amico gli rispose guardandolo bene in faccia:
- Tre, per l’esattezza. Le ho tolte io: ho deciso che è meglio fare un piccolo periodo di astinenza per purificarci lo spirito!
- Più che lo spirito, direi “dallo spirito”! – vedendosi gli occhi di 006 puntati addosso, capì che non era il caso di fingere troppo di ignorare le preoccupazioni dell’amico - Chang, non è il caso che per colpa mia togli gli alcolici a tutti! E poi non ricado nell’alcolismo ogni volta che mi si accusa di qualcosa!
- Va bene, voglio crederti.
Si era convinto così in fretta? GB si aspettava come minimo una bella ramanzina!
- Quindi – continuò 006 – per te non sarà assolutamente un problema rinunciare a bere qualunque alcolico mentre lavori allo spettacolo insieme a Janet, giusto?
- CHEEEE?!? Ma ti rendi conto di quanto tempo durerà tutto il lavoro??? Non ti pare di esagerare? Non sono mica un monaco dedito a pratiche virtuose!
- Quindi vuoi essere di nuovo dedito al vizio?
- Non ho detto questo! Solo che mi pare davvero una sciocchezza!
- Va bene: è una sciocchezza, quindi puoi promettermi, anzi giurarmi, che, fino alla fine di questa storia, non prenderai neppure un caffè corretto?
Bretagna rimase perplesso. Poteva essere una stupidaggine, poteva anche dire che Chang esagerava, ma gli stava chiedendo di giurare una cosa e il suo sguardo non era quello di uno che scherzava. Proprio non gli riuscì di rifiutare, anche se accettò con una sorta di timore.
- Va bene. Ti giuro che, finché Janet mi circolerà attorno, non toccherò niente. Sei contento?
Per tutta risposta, Chang gli fece un sorriso lungo fino alle orecchie. Poi osservò di nuovo lo sguardo distratto dell’amico, che vagava sulle righe del giornale senza posarvisi, e disse:
- Hai pensato di parlare di questa storia col professore? Forse sarebbe il caso…
- Perché? Così si preoccupa anche lui?
- Perché magari gli viene in mente qualcosa…che so, un modo per sapere la verità
- E quale potrebbe essere? – domandò guardandolo negli occhi.
- Non lo so…Io non credo che quella persona fossi tu, ma dato che hai paura di esserlo, per qualche strana ragione…magari esiste un modo per ricordare con esattezza dov’eri e cosa facevi quando quell’uomo è morto…
- Stavamo progettando la nostra fuga, non ricordi? – rispose, cercando di cacciare razionalmente la sola idea.
- Si, ma tu non ne sei convinto…E poi…prima del “risveglio” di 009 sono avvenute altre cose…Se tu riuscissi in modo più preciso a pescare il ricordo di quello che è successo prima, magari ti leveresti ogni dubbio e finalmente avresti un rapporto più sereno con quella ragazza…
- Io ho un rapporto sereno con Janet; semmai non ho un rapporto sereno con l’idea che potrei essere un assassino! Cosa farei se scoprissi che gli incubi di quella ragazza sono reali?
Chang sospirò.
- Non vedo come una cosa del genere possa essere possibile, ma sono del parere che sapere la verità è sempre meglio del vivere nel dubbio!
“Sapere la verità… recuperare un ricordo…Non sono un assassino. E non voglio esserlo.”

 

© 10/07/ 2025

 



 
 


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