IL RICORDO PERDUTO

di Domy


Chang emise un profondo sospiro e appoggiò sul lavello l’altissima fila di piatti appena raccolta dai tavoli vuoti del ristorante.
- Cosa c’è? – domandò Jet dalla porta di servizio, sulla quale stava fumando l’ennesima sigaretta.
- Pensavo che da quando Bretagna è stato scritturato per quel ruolo a teatro non potrò contare per niente sul suo aiuto!
- Bè – intervenne Joe sorridendo, porgendogli un’altra, ancor più alta, pila di stoviglie – per adesso ci siamo qui noi! –
- Appunto: per adesso! Tu parti domani per quell’ingaggio, gli altri rientrano tra una settimana e qui restano solo Françoise e quello lì! – disse indicando Jet con la punta di un coltellaccio sporco.
- E allora? Non ti siamo d’aiuto? - bofonchiò Jet.
- Françoise, forse, ma non posso certo farle fare dei lavori pesanti!
Jet rise.
– Ah! Ecco qual’ era l’utilità di Bretagna!
- Jet, per un po’ potresti aiutare tu nel ristorante – disse Joe – lo sai che Chang ha riaperto da poco e non può ancora permettersi di pagare adeguatamente il personale. Solo qualche giorno, finché non torniamo tutti. E poi dici sempre che ti annoi!
- Sei matto?! Lo sai che in vita mia ho fatto di tutto, ma l’unica volta che ho fatto il cameriere me ne sono andato rischiando l’arresto!
- Che hai fatto?
- Semplicemente non sopporto l’arroganza di certe persone che ritengono che la schiavitù non sia ancora stata bandita dalla società civile!
- Uhm…hai cercato di picchiare il cliente o il proprietario? – chiese Joe.
- Entrambi!
Chang sospirò di nuovo.
– In ogni caso non mi verrebbe mai in mente di farti servire ai tavoli. Mi serve qualcuno per sistemare la cucina, lavare le stoviglie, scaricare gli alimenti…insomma, questi lavori qui!
Jet lo fissò un attimo, ascoltando con interesse.
– Ora capisco perché quel poveraccio di Bretagna si lamentava sempre!
- INSOMMA, VUOI PIANTARLA?! MI AIUTI OPPURE NO??
Jet continuò a fissarlo, con l’aria di chi sta riflettendo sulla risposta più adeguata.
- No!
Chang lo fulminò con lo sguardo.
– Lo sapevo! Bell’amico!
- Scherzavo!
- Dici sul serio?? Mi dai una mano? Grazie!!Sei un grande amico!!!- Jet si ritrovò con un cinese attaccato alla vita che strofinava la testa contro di lui come un cane in adorazione del padrone.
- PIANTALAAA!!!
Joe e Françoise scoppiarono a ridere. In quel momento la porta del locale si aprì ed entrò Bretagna in compagnia di qualcuno.
- Tu guarda! A me non manifesti tutta questa gratitudine quando ti aiuto!
- Bretagna! Come mai da queste parti? Pensavamo che andassi direttamente a casa. – domandò Françoise.
- Volevo controllare come stava il mio cinese preferito! Vi presento Carol, ossia la principessa Regan di re Lear!
Jet e Chang non potevano credere ai loro occhi: davanti a loro apparve una bionda con la capigliatura stile Marilyn, preceduta dal più grande “paraurti” che avessero mai visto, sul quale il cotone della maglia dolcevita faceva un’enorme fatica a non strapparsi.
- Salve a tutti! Bretagna mi ha molto parlato di voi! – effettivamente tutti constatarono subito che anche il tono e il modo di fare erano quelli della tipica svampita dei ruoli di Marilyn!
Bretagna le spostò una sedia per farla accomodare, poi si rivolse a Chang.
- Volevamo chiederti se potevamo sederci qualche minuto per prendere degli appunti e se, magari, c’è rimasto qualcosa da mangiare: abbiamo lavorato fino ad ora!
- S..sì, certo… Vieni in cucina!
- Su che cosa avete lavorato fino alle 11 di sera? – sogghignò Jet sottovoce all’amico, non appena Bretagna si chiuse alle spalle la porta, prima interamente spalancata sul locale. Lui sembrò non cogliere affatto la malizia di quelle parole.
- Su cosa vuoi che abbiamo lavorato? La sto aiutando a entrare nel personaggio, visto che è la prima volta che si misura col ruolo di una “cattiva”. D’altro canto è ancora una delle poche persone che ho conosciuto, visto che le prove partiranno seriamente solo dopo il ricevimento di sabato.
- Non è che mentre lei entra nel personaggio tu cerchi di “entrare” in lei? – fece Jet ridacchiando. Finalmente l’amico colse il senso della battuta e lo apostrofò scandalizzato:
- Non dirlo neanche per scherzo! Il lavoro è sacro!
- Scusa, Bretagna…- disse Françoise perplessa guadando la donna, che intanto chiacchierava con Joe, dall’oblò della porta – ma quella ragazza sa recitare a teatro?
- Oh, capisco cosa vuoi dire. Effettivamente, quando l’ho conosciuta, ho pensato la stessa cosa. Ma ti dirò che, quando l’ho sentita recitare, sono rimasto impressionato dalla sua trasformazione. Certo, ci sono cose in lei che non possono essere “trasformate”, ma ci si fa l’abitudine. E poi non credo voglia fare teatro ancora per molto: sta cercando di passare al cinema! – detto questo uscì con due grossi piatti in mano e si diresse verso il tavolo di Carol.
- “Ci si fa l’abitudine”?! Come fa ad abituarsi a qualcosa che occupa metà palcoscenico?!? E poi com’è che non sta lì a fare il cascamorto come al solito? - commentò Jet.
Françoise rise.
– Non capisci che non è per niente il suo tipo? E’ vero che Bretagna non è insensibile a certe “grazie”, ma è ancor più vero che quando sta su un palco dimentica tutto quello che lo circonda. Io lo capisco bene. E poi, lui preferisce o le “femmes fatali” o le “damigelle”: una donna, per piacergli, deve essere o misteriosa o “pura” e semplice! Carol non rientra in nessuna di queste categorie! –
- Però ammetterai che ha fatto colpo anche su di te, altrimenti non ti saresti scomodata a controllare Joe!
- Questa, poi! Oggi sei veramente odioso! Se non fa effetto a Bretagna, perché dovrebbe farlo a Joe?
- Resta il fatto che hai controllato! – Françoise detestava Jet quando si divertiva in quel modo, soprattutto quando coglieva nel segno, ma lo sguardo indagatore verso Joe era stato piuttosto un riflesso condizionato!

Trascorse qualche giorno. Bretagna si recava al teatro anche se il cast non era completo. Nonostante avesse un ruolo minore, avvertiva il bisogno di riprendere al massimo il contatto con quel mondo che aveva lasciato tempo prima per dare la precedenza al cyborg 007.
Jet aiutava Chang al locale, accettando lo stato di “semischiavitù”: ormai aveva preso quell’impegno e poi la casa vuota lo deprimeva: perfino il dottore trascorreva molto tempo fuori in compagnia di un vecchio compagno di studi e Ivan era con lui. L’unica nota positiva era il fatto di lavorare tutto il giorno con Françoise senza dover assistere agli sguardi complici che si scambiava continuamente con Joe.
Sabato mattina Bretagna si decise a invitare gli amici al ricevimento con il quale la produzione inaugurava la nuova stagione teatrale: si trattava più che altro di un’occasione mondana per far incontrare gli operatori del settore. Essendo tornato Geronimo, Jet fu ben contento di defilarsi dal ristorante e di accompagnare Françoise. In altre circostanze si sarebbe rifiutato di andare con Bretagna in un posto del genere, ma era sempre meglio della compagnia del cuoco! Non gli dispiaceva neppure rivedere il “paraurti” di Carol, magari un po’ più scoperto dell’ultima volta! Si offrì perfino di guidare la macchina al posto di Bretagna.
- Non ho ancora capito che parte fai in questa commedia!
- Non è una commedia, è un dramma! Faccio la parte del Matto.
- Un ruolo che ti si addice!
Bretagna sorrise.
– E’ un ruolo secondario, ma è bellissimo! E’ la voce stessa di Shakespeare dentro la sua opera! E poi per fare questa parte bisogna avere un discreto scilinguagnolo…
- Ok, non ti ho chiesto di parlarmene! 
Jet aveva posto fine “gentilmente” alla chiacchierata, ma 007 non vi badò più di tanto: 002 non amava molto il teatro e poi quei giorni trascorsi a lavorare al ristorante non lo avevano certo messo di buon umore! D’altra parte, anche Bretagna aveva la testa occupata da vari pensieri e, stranamente, non aveva una gran voglia di presenziare alla serata: gli sembrava quasi di dover recitare la parte dell’attore, anziché esserlo davvero! Il fatto di andarci in compagnia dei suoi amici lo faceva rilassare un po’ di più.
Una volta entrati nella sala del ricevimento, Bretagna salutò un po’ di persone, presentando loro Jet e Françoise. 002 parve illuminarsi solo quando, da dietro a una porta, Carol fece la sua apparizione. Come da previsioni, quel che era celato la prima volta, questa volta era generosamente esposto sopra un reggiseno a balconcino e mostrato attraverso una scollatura che copriva a malapena i capezzoli.
– C-ciao! - fecero in coro Jet e Bretagna, senza guardarla in faccia e senza trovare la forza di staccare gli occhi dalle due “colline”! Françoise, che stava in mezzo ai due, vergognandosene terribilmente, tirò loro di nascosto dei potentissimi pizzichi, riportandoli all’ordine.
- Capisco che la ragazza sia dotata di due “calamite oculari”, ma cercate di comportarvi dignitosamente! – bisbigliò quasi ringhiando.
Carol sorrideva con il suo cocktail in mano, senza rendersi conto, almeno in apparenza, della scena, mentre Jet provò sottovoce a giustificarsi.
- Tu non puoi capire! Mica si vedono spesso, cose simili!
- A chi lo dici! – aggiunse 007 sottovoce.
- Ma tu non eri quello che si era abituato?!- obiettò 002.
- Si, ma sono abituato a vederlo coperto dalla maglia, mica così!
- Piantatela! – sibilò 003, esibendo subito un largo sorriso alla ragazza. – Ciao, Carol! Ti ricordi? Ci siamo conosciuti al ristorante!
- Certamente! E poi, quando io e Breat non lavoriamo, mi parla spessissimo di voi! Joe non è venuto?
007 cercò di distogliere l’attenzione dell’attrice dalla saetta che Fran aveva involontariamente scagliato con gli occhi!
- Ehm…no, lui è fuori per lavoro! Ma lo sai che il turchese ti sta benissimo?
- Trovi davvero?
“Come diavolo ha fatto a notare il colore?” si chiese Jet, mentre lo sguardo di Françoise tornava alla normalità. Fortunatamente, Carol si era lanciata in una fitta chiacchierata con G.B.
- …Ma perché non sei venuto, l’altro giorno? Io e Serge ti aspettavamo per bere qualcosa!
- Non potevo: avevo bisogno di studiare un po’!
- Non fai altro che studiare! Eppure fai questo mestiere da un milione di anni!
- Sono felice di sembrarti giovane! Comunque studiare è importante: c’è sempre qualcosa in più da imparare e poi ho capito già da ragazzo che i problemi che ho avuto all’inizio a decollare professionalmente erano legati soprattutto alla mia tendenza all’accidia! Riuscivo a impegnarmi solo se qualcuno mi pungolava o se c’era una sfida, altrimenti nulla!
- Ma poi ti sei impegnato!
- Perché ho avuto molte sfide e molte persone che mi pungolavano!
- Aspetta, voglio farti conoscere una persona: è l’attrice che interpreterà Cordelia; è arrivata qui ieri sera e ho scoperto che abbiamo già recitato insieme un anno fa!
Carol prese 007 per il braccio e si diresse verso una giovane voltata di spalle, dal fisico longilineo, con i capelli biondo-castano raccolti in alto evidenziando il suo lungo e sottile collo bianco.
- Janet, voglio presentarti mr. Bretagna…-
La ragazza si voltò, sorridendo, facendo l’atto di allungare la mano per presentarsi, ma, appena vide 007, sgranò gli occhi azzurri e impallidì come se avesse visto un fantasma; fu percorsa come da un brivido di terrore e fuggì fuori dalla sala.
- M…ma che le è preso? – fece Bretagna, vagamente inquietato da quella reazione.
- Non lo so, non ne ho la più pallida idea! – rispose Carol, basita anche lei. – Cerco di parlarle! Ti raggiungo tra poco! – disse, dirigendosi verso la terrazza dove Janet si era rifugiata.
- Caspita, ha avuto un vero attacco emotivo! – commentò Jet – E’ vero che sei brutto, ma reagire addirittura in questo modo!
- La conosci? - domandò Françoise, abbastanza turbata.
- Credo di non averla mai vista in vita mia! Forse le ricordo qualcuno…
- Può darsi. - sussurrò 003, cercando di nascondere all’amico la sua perplessità.
- E chi dovresti ricordarle? Mica ce ne sono molti, con la sua faccia! – disse 002.
Dopo qualche minuto Carol tornò in sala, col viso vagamente mortificato.
– Scusatela, ma dovete sapere che Janet è stata in cura da uno psicologo per anni dopo aver assistito da ragazzina alla morte del padre…
- Capisco…- disse mestamente 007 - ma se è così instabile, riesce a lavorare?
- Ecco, non è che lei sia instabile, solo che…- Carol si mordeva un poco il labbro, sentendosi in imbarazzo per quel che doveva dire – vedi, il decesso è stato causato da un incidente, ma lei sostiene che il padre sia stato ucciso…
- Non è che Bretagna gli ricorda l’assassino? – chiese Jet, col tono di chi vuol sdrammatizzare.
- No: sostiene che è proprio lui!

La serata si concluse senza che Janet riapparisse alla festa. 007 cercò di dissimulare l’accaduto per tutto il tempo, ma tornò a casa completamente sconvolto.
- Dai, cerca di non pensarci! – gli disse Françoise mentre rientravano ciascuno nella propria stanza – Vedrai che quella ragazza saprà superare questa cosa: dopotutto è già in cura da uno psicologo e sono passati diversi anni dal giorno dell’incidente; si renderà conto di quanto sia stato assurdo il suo comportamento e riuscirete a lavorare bene insieme!
- Si, certo…andrà sicuramente in questo modo. - rispose l’amico, sorridendole con poca convinzione. – Buonanotte!
Bretagna tolse giacca e cravatta e si buttò sul letto con tutti i vestiti, restando pensieroso a fissare il soffitto illuminato dall’abat-jour; a parte la tristezza di quella situazione, iniziò a domandarsi per quale ragione, realmente, quell’episodio l’avesse così scosso… Sapeva, senza ombra di dubbio, di non aver mai avuto a che fare con un delitto e neppure aveva mai sentito nominare il padre di quella ragazza. Si rispose che, probabilmente, temeva di avere una sorta di dejà – vu delle accuse più o meno esplicite che gli furono fatte dopo l’incidente di Harry Brown, ma quella storia era totalmente diversa… C’era qualcosa…qualcosa che gli sfuggiva completamente e che gli dava i brividi. Poi ebbe un’idea folle e accese il computer, mettendosi a fare ricerche sul decesso del padre di Janet.
“Edward Davis, morte accidentale”… Uscirono migliaia di articoli non pertinenti; avrebbe almeno dovuto chiedere qualche informazione in più! Iniziò a sforzarsi di restringere il campo delle ricerche, mettendoci anche il nome della figlia, cercando almeno il paese di origine, e fece un rapido calcolo a ritroso per capire più o meno in quale anno fosse morto. Finalmente, dopo aver trascorso quasi un’ora incollato al PC, trovò quella che sembrava la pista giusta: un trafiletto di cronaca nera dove si parlava del decesso di Edward Davis, diplomatico americano, ucciso da un colpo di pistola partito accidentalmente mentre maneggiava una delle armi d’epoca della sua collezione; a quanto pare, non v’era alcun dubbio che si fosse trattato di un incidente.
Partendo da lì, fu molto più semplice cercare altre informazioni: vi erano molti articoli sull’attività dell’uomo, elogiato da colleghi e uomini di cultura a causa del ruolo chiave che aveva ricoperto nel pacificare alcuni piccoli stati in Africa centrale…quest’altra informazione non fece altro che agitare ancor di più Bretagna, senza tuttavia che arrivasse a dare alcuna spiegazione logica al suo stato d’animo. Vi erano poi un paio di articoli scritti da tabloid di pettegolezzi, dove si rigirava il coltello nella piaga descrivendo la tragica scena della morte, con la giovane figlia che vi assisté impotente e che, “folle di dolore, incapace di accettare una fine così sciocca e insensata per un uomo di tale levatura, dichiarò, in preda al delirio, di aver visto un uomo entrare dalla finestra e uccidere il padre…”
“Detesto i giornalisti, quando si mettono a fare i drammaturghi!” commentò Bretagna, continuando a scorrere con gli occhi l’articolo, che prendeva una piega assai improbabile: “…una tragica fantasia? La polizia smentisce l’ingresso di chiunque nell’edificio. Ma i vicini, sia pure con una sorta di reticenza, parlano con convinzione di una presenza misteriosa, dalle fattezze di un uomo che lavorò come giardiniere per la famiglia molti anni prima e che fu ucciso proprio là da un rivale in amore: pare che da allora lo spettro si aggiri continuamente nell’edificio…”
007 scosse il capo con disappunto, salvo che si ritrovò inconsciamente a sussurrare: “…lo spettro…lo Spettro!” 
Questa cosa che gli era sfuggita gli parve un collegamento “naturale”, vista la sua storia personale. Si disse che, probabilmente, si era fatto tardi e che la stanchezza iniziava a tirargli brutti scherzi; che, con la luce del giorno, avrebbe rivisto tutto sotto un’altra prospettiva… Fece per spegnere il computer, ma un’ultima cosa, che non aveva messo a fuoco precedentemente, gli balzò agli occhi: la data del decesso corrispondeva, per una coincidenza assurda, a un giorno che né lui né i suoi compagni avrebbero mai potuto dimenticare: quello della loro fuga dai Black Ghost! Anche su questo, però, nulla che collegasse la sua vita a quella di Janet e nuovamente si chiese perché mai avrebbe dovuto esserci un collegamento.
Le “risposte” trovate in rete gli sarebbero dovute bastare per tranquillizzarsi, ma non ebbero assolutamente questo effetto…era come se fossero tutte troppo superficiali e incomplete e lui cercava qualcosa senza sapere cosa.
Prese il telefono e chiamò 008, che stava dall’altra parte del pianeta.
- Punma, dovresti farmi un grande favore: potresti “sbirciare” negli archivi della polizia in merito alla morte di un tale Davis, diplomatico americano? Ti invio il luogo e l’anno del decesso e altri dati che dovrebbero bastare…poi spediscimi quello che trovi sulla mail, ok?
Già 008 si era meravigliato non poco della telefonata, sapendo che, se da lui era giorno, 007 doveva aver chiamato nel cuore della notte, ma dopo aver ascoltato scosse il capo con disappunto.
- Non è che una “ricerca” di questo genere si possa fare in due minuti e inviare con tutta disinvoltura per posta elettronica! Perché non chiedi a Françoise, che è là con te?
- Non voglio farla preoccupare più del dovuto…
- Non capisco…di che si tratta?
- Prometto che dopo ti spiegherò tutto.
- Ok. Vedrò cosa riesco a fare…
- Grazie, sei un amico!
- Lo so!

L’indomani tutto sembrava essere tornato alla normalità.
Françoise si recò al ristorante di Chang insieme a Jet, che pregava in cinese che gli altri tornassero presto (Geronimo aveva altri impegni); il professore rimase a casa con Ivan e G.B. se ne andò in teatro.
Il cast era presente al completo e il regista presentò un calendario delle prove e degli appuntamenti successivi. Anche Janet era presente, a debita distanza da lui; mentre ascoltavano gli altri parlare, 007 sorprese due o tre volte la ragazza a cercarlo con gli occhi, come se volesse “studiarlo”. Alla fine dell’incontro, Bretagna si fece coraggio e cercò di avvicinarla per parlarle, ma Janet si defilò come un gatto, facendo finta di niente.
Il giorno seguente la scena si ripeté più o meno allo stesso modo, anche se Carol cercò di consolarlo dicendo che, dopotutto, il suo personaggio non doveva interagire con quello di Janet.
Carol prendeva tutte le cose con molta superficialità, ma era anche abbastanza ottimista: “Lascia che me la lavori io”, gli aveva detto, “e diventerà la tua migliore amica!”. Queste non erano certo le aspettative di 007, ma avrebbe desiderato almeno fugare dalla testa della ragazza l’idea che lui fosse un terribile assassino!
Quella sera, verso le undici, arrivò finalmente la mail con la tanto attesa ricerca fatta da Punma negli archivi della polizia. E lì i veri dettagli non mancavano.
Il corpo dell’uomo era stato trovato riverso sul pavimento accanto a un tavolino dove stavano appoggiate delle carte, in parte trascinate a terra dalla caduta; vicino alla mano stava una pistola del 1800; il proiettile, partito dall’arma, aveva forato la carotide con una traiettoria che partiva dal basso e aveva spaccato un piccolo quadro che stava appeso alla parete alle spalle dell’uomo. Dalla parte opposta della stanza, seduta alla scrivania a fare i compiti, c’era la figlia, che aveva assistito alla scena. Secondo chi aveva svolto le indagini, si era trattato senza dubbio di un incidente: Davis stava maneggiando la pistola e il colpo era partito per sbaglio. Questa versione era confermata da più fattori: non solo la traiettoria del proiettile e la sola presenza delle impronte digitali del defunto sull’arma, ma anche il fatto che le telecamere della villa, tutte ben posizionate, non avevano rilevato la presenza di intrusi e che la porta era stata trovata chiusa dai domestici che erano accorsi appena udito lo sparo; la porta del balcone era aperta, ma arrampicarsi da lì sarebbe stato complicato perfino per un individuo molto agile e, qualora l’assassino fosse – miracolosamente – riuscito a entrare e a fuggire dalla finestra senza essere scorto, avrebbe certamente lasciato delle impronte profonde in corrispondenza di questa nel terreno; inoltre solo Davis possedeva la chiave dell’armadio a vetri che racchiudeva la collezione e la chiave era al suo posto nello scrittoio. D’altronde era anche impossibile pensare vi fosse un assassino nella villa: il diplomatico si circondava solo di persone fidate, a meno che non servisse qualcuno da fuori per lavori occasionali, ed era molto amato da tutti. L’inchiesta riportava, ovviamente, la deposizione dell’unica testimone, ovvero della figlia, ma questa fu definita più che altro “un delirio dettato dallo shock”: la ragazza diceva che un uomo sconosciuto era apparso sul davanzale del balcone con la pistola in mano, si era avvicinato rapidissimo al padre e gli aveva sparato, per poi “volare via dal balcone”. Non vi erano ulteriori dettagli circa la testimonianza di Janet, ma il racconto valse ad aumentare vertiginosamente l’inquietudine di 007.
La causa era stata archiviata quasi subito, come accade in questi casi.
- Forse è meglio se smetto di pensarci! – si disse Bretagna esasperato, premendosi le tempie con le dita.

Il terzo giorno qualcosa cominciò leggermente a cambiare: Janet iniziò a non fuggire più con gli occhi, anzi adesso lo fissava con uno sguardo freddo e duro, rispondendo in modo distaccato al saluto e senza aprire nessuno spazio al dialogo. Per 007 questo era anche peggio dell’essere attaccato esplicitamente!
Fortunatamente avere la possibilità di raggiungere i suoi amici all’orario di chiusura del ristorante e liberarsi parlando con loro lo aiutava non poco. Françoise appariva leggermente preoccupata, mentre Chang e Jet minimizzavano la cosa senza troppi giri di parole.
- Francamente non riesco a comprendere perché ci stai così male… – diceva il cinese – Capisco che questa situazione ti fa venire in mente dei brutti ricordi, ma…
- Io credo proprio che tu stia diventando paranoico! - rincarò Jet, allungandosi con le gambe sulla sedia - Fossi in te non starei lì a tormentarmi tanto: ammesso che tu fossi un assassino, almeno te ne ricorderesti! Non è possibile che tu sia responsabile in qualche modo di questa faccenda!
Bretagna li ascoltava con l’espressione poco convinta.
- Si, lo so anch’io, tanto più che Carol mi ricorda sempre che questi atteggiamenti sono abbastanza normali per una che è in cura dallo psicologo da quando era ragazzina…
- Bè, se hai assistito alla morte violenta di tuo padre, stare in cura da uno strizzacervelli mi sembra il minimo sindacale! – commentò 002.
- Però…questa cosa mi mette a disagio…e poi…sento che qualcosa non va!
- Che cosa non va, a parte, appunto, alla sensazione di disagio? Non è mica colpa tua se assomigli a un’allucinazione! - l’atteggiamento dell’amico quasi iniziava a irritare Chang: lui era uno spirito pratico e detestava quando gli sembrava che gli altri volessero crearsi dei problemi immaginari!
007 si limitò a tacere, dal momento che non aveva risposte. Pensò che la cosa più logica fosse dare definitivamente retta ai suoi amici. I propositi erano i migliori: niente più ricerche sul padre di Janet, al lavoro fingere totale indifferenza, nella speranza che anche la ragazza si convincesse dell’assurdità dei suoi pensieri, e concentrarsi solo sulle prove.
Purtroppo Seven non aveva fatto ancora i conti con la sua parte irrazionale, la più sviluppata della sua personalità: quella stessa notte fu risvegliato in pieno sonno da una specie di incubo: si vide in piedi su una terrazza, circondato da gigantesche ali nere di corvo che spargevano piume intorno a lui; poi, di colpo, uno sparo, una mano stesa dentro una pozza di sangue; accanto alla mano una pistola antica, della quale vide tutti i dettagli e, immediatamente, il viso di Janet che lanciava urla lancinanti. Si sollevò di scatto dal letto, con lo sguardo terrorizzato. Non riuscendo a prendere sonno, scese al piano di sotto, a cercare qualcosa in cucina. L’idea era quella di preparare una camomilla o qualcosa di simile, ma le mani scivolarono istintivamente verso un’altra anta del mobile e andarono a tirare fuori una bottiglia di rum. Come un automa, evitando accuratamente di pensare, si versò un bicchiere tornò di sopra.

Uno dei vantaggi della condizione di cyborg era quello di riuscire facilmente ad ammortizzare una notte in bianco e le prove andarono bene. La giornata lavorativa era conclusa, ma riservava ancora delle sorprese. Bretagna si era fermato al bar con un collega; stava per ordinare un whiskey, ma quando l’altro chiese un caffè lungo bollente, decise di tenergli compagnia e fece altrettanto. Si girò al saluto di Carol alle sue spalle, senza aspettarsi minimamente che Janet fosse con lei!
– S…salve! – farfugliò. Non ebbe bisogno di dire alcunché, dato che fu investito dalla voce cinguettante di Carol.
- …e quindi parlavo a Janet dell’aiuto che mi stai dando e pensavamo, ecco, se non ti dispiace, che potresti dare una mano anche a lei a risolvere alcune scene, tanto tu sai tutto il copione a memoria, no?
In pratica, gli stava chiedendo di lavorare da solo con Janet finite le prove!
Janet seguiva il discorso di Carol in silenzio, limitandosi ad annuire ogni tanto e sforzandosi di alzare lo sguardo…ogni sua occhiata era penetrante e indagatrice.
Bretagna rimase sorpreso e sconvolto da quella richiesta, di cui era certamente Carol l’artefice…ma, se Janet era lì, significava che lo voleva anche lei.
Alla ragazza non sfuggì il suo disagio e, forse per la prima volta, gli rivolse la parola.
- Sta poco bene? Le trema la mano.
- N…no, è che…la tazza è bollente. - disse lui per giustificarsi, cercando di assumere un tono naturale e cordiale. – Bene! Possiamo trovarci oggi pomeriggio al locale del mio amico cinese!

Janet arrivò puntuale insieme a Carol e Seven le fece accomodare al piano di sopra, dove Chang aveva un piccolissimo appartamento in cui restavano qualche volta a dormire quando il lavoro era tanto o particolarmente faticoso.  Iniziarono a lavorare sul copione come se tutto fosse a posto. Carol andò via dopo circa tre quarti d’ora, lasciandoli da soli. Bretagna si impegnò al massimo per non lasciare spazi vuoti o silenzi tra loro; finse efficacemente la più totale naturalezza, al punto tale che anche Janet parve completamente assorbita dal lavoro e sembrava, almeno in apparenza, aver messo da parte i suoi dubbi e gli incubi del suo passato. Quando ebbero finito si era fatta ora di cena; scesero al piano di sotto dove, non essendo un giorno e un orario particolarmente movimentati, c’erano giusto un paio di tavoli occupati.
Chang non aveva voluto intromettersi nel loro lavoro e neppure si era affacciato dalla cucina per salutare le ospiti, ma quando vide Janet per la prima volta, le sembrò incredibilmente malinconica e trascurata; lo avrebbe fatto lo stesso, ma l’impressione che aveva ricevuto dalla ragazza fece sì che l’accogliesse ancor più cordialmente.
– Mangia qualcosa! Il tuo lavoro deve essere davvero faticoso: ore ed ore a provare senza mangiare nulla! Hai un aspetto così sciupato…
- Ehm…la ringrazio, ma mi creda, sto benissimo!
- Chissà perché a me non dice mai queste cose! – commentò Bretagna cercando di acciuffare qualcosa al volo dal piatto, per essere immediatamente schiaffeggiato sulla mano dall’amico.
- …Comunque è dimostrato che del buon cibo risolleva il corpo e lo spirito! Coraggio, non fare complimenti!
- Va bene…è davvero molto buono!
- Brava! Certe volte si sopravvalutano le proprie energie! Quando hai bisogno di rilassarti, vieni pure!
La situazione di quella giornata iniziò a ripetersi abbastanza di frequente. Janet alternava momenti di apparente normalità a fasi in cui pareva studiare Bretagna con lo sguardo, come se cercasse di trovare in lui qualcosa che andava al di là della semplice apparenza; alle volte pareva essersi tranquillizzata e aver abbandonato ogni sospetto, altre sembrava che aspettasse il momento in cui sarebbe crollata ogni finzione e l’assassino di suo padre si sarebbe rivelato per ciò che era. In realtà, questa era un’opzione che non desiderava affatto, un po’ per paura, un po’ perché, nel corso di quelle giornate, stava avvenendo qualcosa che, da un lato, la meravigliava, dall’altro le stava facendo provare delle sensazioni che non sentiva da molto tempo: Chang si stava quasi “prendendo cura” di lei, preparandole il pranzo ogni giorno, convinto (a ragione) che la ragazza si trascurasse: la cosa che stupiva Janet, era il fatto che lo facesse senza volere nulla in cambio e senza farle domande indiscrete su di lei e sulla sua vita; in più, non le faceva mai mancare parole di incoraggiamento se Carol o Bretagna raccontavano qualche episodio seccante avvenuto in scena; tutto questo faceva sì che, in quelle poche ore, si fosse ricreato intorno a lei un clima quasi familiare, un clima che aveva perso ormai da molto tempo… Bretagna osservava quella situazione con addosso una sorta di agitazione sottopelle; si domandava come avesse fatto Chang a catturare in quel modo la fiducia di Janet e lo guardava con una sorta di biasimo: avrebbe voluto che il rapporto con la collega rimanesse a un livello puramente professionale, non che diventasse la “nipotina adottiva” del suo migliore amico! 007 aveva notato anche un altro dettaglio: mentre lui impersonava vari personaggi che interagivano con Cordelia, facendo quasi da insegnante a Janet, la ragazza manteneva costantemente una sorta di distacco nel ruolo che rovinava la propria interpretazione, una sorta di “paura del contatto fisico”; eppure, non era questo che lo turbava.
La verità, purtroppo, era una sola: temeva che, specchiandosi nello sguardo di Janet, avrebbe visto anche lui l’assassino di Edward Davis.

Tic-tic-tic-taka-tic-taka-tic….
Il rumore martellava le tempie di Jet, togliendogli definitivamente la blanda speranza che aveva di prendere sonno quella notte. Senza rivestirsi, andò irritato verso la stanza di Bretagna ed entrò senza bussare.
- Che diavolo combini?! Ti rendi conto di che ore sono?!?
- Circa le tre e mezza! – rispose l’amico, senza cogliere minimamente il tono di rimprovero.
- Già è discutibile quello che fai: sei l’unico che usa ancora la macchina da scrivere al posto del pc! …Ma usarla addirittura in piena notte!!!
- L’ultima volta ho usato il pc, che si è spento all’improvviso facendomi perdere tutto il lavoro! La macchina da scrivere questo non lo fa!
A quanto pareva, 007 stava totalmente ignorando il nocciolo del problema e Jet iniziò letteralmente a ringhiare!
- Ti sto dicendo che devi piantarla immediatamente!!! Se sei così ispirato e non vuoi usare il pc, usa una cazzo di penna!!! Non puoi svegliare gli altri in piena notte!!
- Ma se siamo soli in casa! – quella sera, stranamente, per diverse ragioni, erano rimasti solo loro due.
- E IO NON SONO NESSUNO?! – evidentemente Bretagna aveva qualcosa che non andava! Tuttavia, il tono dell’ultima frase non ammetteva di essere ignorato.
- V…va bene, la smetto! - farfugliò, mentre Jet gli sbatteva la porta della sua stessa stanza in faccia e se ne tornava in camera sua imprecando. Bretagna sospirò e riguardò il foglio, mettendolo da parte.
Il punto era che, in quel periodo, la macchina da scrivere aveva una precisa funzione: serviva a distrarlo da pensieri abbastanza angoscianti, da sfogo e, non ultimo, il ticchettio prodotto dai tasti assumeva quasi una funzione “ipnotica” che catturava la mente impedendole di vagare altrove. Eliminata quella distrazione, il pensiero si spostò rapidamente dalla tastiera, a Janet, all’armadietto degli alcolici giù in salotto. Anche questa volta, fece finta di non essere lui a compiere il gesto meccanico di aprire l’anta, versare del whiskey nel bicchiere, berlo velocemente e tornare di sopra.
La cosa in sé non avrebbe destato l’attenzione di nessuno, fuorché quella di una persona molto attenta ai “rifornimenti alimentari”; le bottiglie stavano là, intonse, da un bel po’ di tempo: generalmente, si prendevano ogni tanto per bere qualcosa tutti insieme (e, in quel caso, sarebbero finite!) o per qualche ospite occasionale; fu il pensiero del periodo strano attraversato da 007 a mettere Chang sul chi vive e, dopo aver riflettuto pochi attimi, decise che la cosa migliore fosse far sparire gli alcolici dalla circolazione per un bel po’.
Nel tardo pomeriggio Françoise stava dando una mano al cuoco a risistemare alcune cose in soggiorno. Bretagna li stava praticamente ignorando, intento a leggere il giornale, ma alzò gli occhi quasi per un riflesso condizionato quando la francesina aprì l’armadietto delle bottiglie, rivelando la sparizione del contenuto! La ragazza non vi fece praticamente caso, spostandosi rapida nell’altra stanza, mentre 007 sollevò lo sguardo su Chang che, con indifferenza, si era venuto a sedere al tavolo con la pipa in mano; non riuscì a non domandargli il perché della cosa, quasi facendo finta che la questione non lo riguardasse.
- Non avevamo un paio di bottiglie, lì dentro? – fece, senza sollevare gli occhi dal giornale. L’amico gli rispose guardandolo bene in faccia:
- Tre, per l’esattezza. Le ho tolte io: ho deciso che è meglio fare un piccolo periodo di astinenza per purificarci lo spirito!
- Più che lo spirito, direi “dallo spirito”! – vedendosi gli occhi di 006 puntati addosso, capì che non era il caso di fingere troppo di ignorare le preoccupazioni dell’amico - Chang, non è il caso che per colpa mia togli gli alcolici a tutti! E poi non ricado nell’alcolismo ogni volta che mi si accusa di qualcosa!
- Va bene, voglio crederti.
Si era convinto così in fretta? GB si aspettava come minimo una bella ramanzina!
- Quindi – continuò 006 – per te non sarà assolutamente un problema rinunciare a bere qualunque alcolico mentre lavori allo spettacolo insieme a Janet, giusto?
- CHEEEE?!? Ma ti rendi conto di quanto tempo durerà tutto il lavoro??? Non ti pare di esagerare? Non sono mica un monaco dedito a pratiche virtuose!
- Quindi vuoi essere di nuovo dedito al vizio?
- Non ho detto questo! Solo che mi pare davvero una sciocchezza!
- Va bene: è una sciocchezza, quindi puoi promettermi, anzi giurarmi, che, fino alla fine di questa storia, non prenderai neppure un caffè corretto?
Bretagna rimase perplesso. Poteva essere una stupidaggine, poteva anche dire che Chang esagerava, ma gli stava chiedendo di giurare una cosa e il suo sguardo non era quello di uno che scherzava. Proprio non gli riuscì di rifiutare, anche se accettò con una sorta di timore.
- Va bene. Ti giuro che, finché Janet mi circolerà attorno, non toccherò niente. Sei contento?
Per tutta risposta, Chang gli fece un sorriso lungo fino alle orecchie. Poi osservò di nuovo lo sguardo distratto dell’amico, che vagava sulle righe del giornale senza posarvisi, e disse:
- Hai pensato di parlare di questa storia col professore? Forse sarebbe il caso…
- Perché? Così si preoccupa anche lui?
- Perché magari gli viene in mente qualcosa…che so, un modo per sapere la verità
- E quale potrebbe essere? – domandò guardandolo negli occhi.
- Non lo so…Io non credo che quella persona fossi tu, ma dato che hai paura di esserlo, per qualche strana ragione…magari esiste un modo per ricordare con esattezza dov’eri e cosa facevi quando quell’uomo è morto…
- Stavamo progettando la nostra fuga, non ricordi? – rispose, cercando di cacciare razionalmente la sola idea.
- Si, ma tu non ne sei convinto…E poi…prima del “risveglio” di 009 sono avvenute altre cose…Se tu riuscissi in modo più preciso a pescare il ricordo di quello che è successo prima, magari ti leveresti ogni dubbio e finalmente avresti un rapporto più sereno con quella ragazza…
- Io ho un rapporto sereno con Janet; semmai non ho un rapporto sereno con l’idea che potrei essere un assassino! Cosa farei se scoprissi che gli incubi di quella ragazza sono reali?
Chang sospirò.
- Non vedo come una cosa del genere possa essere possibile, ma sono del parere che sapere la verità è sempre meglio del vivere nel dubbio!
“Sapere la verità… recuperare un ricordo…Non sono un assassino. E non voglio esserlo.”

 

Il giorno dopo Bretagna era appena sceso dal palco. L’attore che interpretava Kant era stato ripreso più volte per una serie di errori invisibili a chi non fosse più che pignolo nel mestiere e toccava a Janet provare la scena della morte di Cordelia. Le luci erano state sistemate e re Lear aveva iniziato il suo più triste monologo, tenendo la ragazza tra le braccia. Fu allora che accadde una cosa singolare: Janet iniziò ad apparire agitata, finché non si mise a tremare visibilmente, come se avesse avuto un attacco di panico. Attori e regista rimasero basiti; Janet si divincolò dalla presa del suo collega e fuggì via singhiozzando, andandosi a chiudere nel camerino.
Il regista ebbe un vero e proprio attacco isterico.
- Fategli il test psichiatrico, prima di assumerli!
- Magari la ragazza non si sente bene… - azzardò l’attore protagonista.
- Non mi interessa!! – urlò il regista – I vostri problemi devono rimanere fuori di qui, va bene?!!
Bretagna si fece coraggio e andò dietro la porta del camerino, bussando con discrezione.
- Janet, tutto bene? Posso aiutarti?
- NO! VATTENE!!
Bretagna non riusciva a capire se quanto accaduto avesse un nesso con quanto sapeva di Janet, ma in quel momento decise di dare ascolto a Chang e di parlare di tutto col dottor Gilmore.

Il professore ascoltò con attenzione il racconto. Avrebbe potuto sminuire le preoccupazioni di Bretagna, sdrammatizzare come aveva fatto Chang, ma la cosa non avvenne; piuttosto rimase pensieroso e perplesso, come se quell’episodio andasse analizzato per bene, come se leggesse tra le righe qualcosa che non voleva dire apertamente. Ovviamente la cosa non sfuggi a 007, che non approfondì oltre, contentandosi delle due sintetiche conclusioni a cui era giunto Gilmore: a) il padre di Janet era sicuramente il “candidato” adatto a finire nella lista nera dei Black Ghost; b) la sua sincera mancanza di memoria poteva essere verificata usando un sistema sul quale Gilmore stava lavorando da tempo e che reputava “efficiente al 90%”.
Avrebbero sicuramente scoperto la verità e l’indomani ne parlò con Jet, del quale occorreva una collaborazione.
- Vuole sperimentare la “macchina del tempo”?!? – esclamò il ragazzo.
- Non è una macchina del tempo!! Non permette a nessuno di tornare realmente indietro nel passato, ma solo di compiere un “viaggio virtuale” dentro i ricordi di un individuo! Consiste nel creare una connessione mentale con alcune aree deputate alla memoria e di riuscire a visionarle.
- Si, ma sbaglio o quando quel tizio è stato assassinato noi dovremmo essere stati tutti nello stesso posto?
- Bè, la data in cui il padre di Janet è stato trovato morto coincide con un giorno che nessuno di noi può dimenticare…
- Ci ha fatto caso anche lei, vero? ...Già, e come non farci caso! E’ la stessa data in cui 009 ha fatto il suo “ingresso” nella squadra e siamo fuggiti dai Black Ghost…Ma questo non dovrebbe rassicurare 007? Quel giorno siamo stati praticamente sempre insieme!
Gilmore tacque, come se fosse concentrato a sistemare alcuni sensori dell’apparecchio. Jet sospirò e non volle insistere, anche se non poté non fare un’altra domanda.
- E Ivan? Non potrebbe darci una mano?
- Ivan è in grado di capire se menti o dici il vero e di leggerti nella mente, ma fino ad ora l’ho visto all’opera solo su elementi dei quali si è coscienti; ammesso che sia in grado di recuperare ricordi rimossi, l’ultima missione lo ha provato parecchio, per cui non intendo chiedergli qualcosa di cui può occuparsi qualcun altro!
- Esiste il rischio di manipolare inconsciamente un ricordo e restituirlo per quello che non è? Un ricordo può essere creato o omesso…
- La macchina esiste per questo: è come se “leggesse” qualcosa di oggettivo impresso nella mente, non la sua interpretazione. E poi ritengo che la situazione non sia da sottovalutare…quella ragazza magari è solo una persona tormentata dai traumi infantili, ma potrebbe crearci dei problemi e comunque sapere la verità tranquillizzerebbe 007 o, nella peggiore delle ipotesi, lo metterebbe nelle condizioni di stare attento.
- E’ per questa ragione che si è deciso a testare la sua “macchina del tempo”?
- Quante volte devo ripetertelo: non è una macchina del tempo! E’ un sistema che, connettendosi attraverso un chip con alcuni centri nervosi, riesce ad arrivare a quella parte della corteccia celebrale dove risiedono i ricordi; questi vengono poi “proiettati” nel cervello di chi è destinato a “visionarli”, almeno due individui, immergendo le persone collegate alla macchina in una specie di realtà virtuale. Naturalmente non è un tipo di apparecchio che possa essere utilizzato da chiunque ed è bene che vi sia forte sintonia tra coloro che visionano le immagini stesse.
- Ogni volta che mi spiega cos’è quell’affare rende la spiegazione più contorta! E poi perché per forza due persone?
- Perché si limita il pericolo di “smarrirsi” dentro quello che si sta cercando: in due si riesce, in qualche modo, a pilotare il viaggio che si sta compiendo e a limitare le cattive interpretazioni e i fallimenti. 
- Adesso è tutto chiaro. Eppure c’è qualcosa che mi sfugge…come mai tutta questa fretta? Dopotutto, per quanti problemi possa procurarci, è pur sempre una ragazzina paranoica! Come mai non ha voluto aspettare il ritorno di 009, che arriva tra un paio di giorni? Ha sempre sostenuto che, insieme a 003, fosse il soggetto più idoneo a testare questo apparecchio! C’è per caso qualcosa che non vuole dirci? – Jet era molto perspicace e, anche questa volta, aveva visto giusto; però, a differenza di G.B., non intendeva eludere la questione e strappò a Gilmore il perché di tanta perplessità. Il professore non poté dilungarsi in molte spiegazioni perché aveva sentito le voci di Bretagna e Françoise nel corridoio.
- Per quanto quella Janet sia disturbata, non sappiamo fino a che punto non ci sia del vero nelle sue ossessioni…
- Cioè… alla fine mi sta dicendo che non lo sta facendo solo per tranquillizzare 007? Pensa davvero che la storia di quella ragazza possa essere vera?!
– Sì. – tagliò corto - Un mio dubbio personale…c’era uno scienziato, alla base dei Black Ghost, che sosteneva la necessità di creare in voi un condizionamento mentale…in realtà, finché ci sono stato io, non ha mai avuto alcuna autorizzazione a mettere in pratica le sue teorie, però…- Gilmore tacque appena la porta si aprì, e Jet, comprendendo che l’uomo non voleva alimentare inutilmente l’inquietudine di Bretagna, fece lo stesso.
Il professore si rivolse ai suoi ragazzi:
- Allora, ve la sentite davvero di fare questa prova? – I tre annuirono.
– Infondo – disse Jet – fare un viaggetto virtuale da solo con Françoise non mi dispiace affatto!
- Si, ma ricordati che lo stai facendo nella mia testa! – puntualizzò 007.
- Questo è l’unico dato negativo: presumo che mi toccherà sorbirmi un mucchio di prove in teatro!
- Piuttosto – disse 003 rivolgendosi a G.B. – tu sei certo che non ti dia fastidio il fatto che, in qualche modo, guarderemo nel tuo passato?
- Figurati! – rispose l’amico mentre si sedeva in poltrona e scopriva il braccio come gli aveva chiesto Gilmore - Guardate pure, tanto per voi non ho segreti… al massimo ho qualche omissione!- disse stringendo i denti mentre il professore inseriva il microchip sottopelle.
– Questo qui poi posso tenermelo? – chiese 007 massaggiandosi il braccio.
- Certo che no! Ti darebbe problemi nelle tue trasformazioni!
- Uff…però levarlo è meno fastidioso? 
- No, lo è di più! – disse il professore mentre collegava Françoise alla sua invenzione, una sorta di “scatola tecnologica” di medie dimensioni, attraverso una serie di elettrodi sulla fronte e passava a fare altrettanto con Jet.
– Hey! – protestò il ragazzo quando Gilmore assicurò i suoi polsi ai braccioli della sedia sulla quale era seduto accanto a 003 – al cinema non ti legano alla poltrona! 
- Scusatemi, ragazzi: è solo una piccola precauzione: se uno di voi due dovesse ritrovarsi in una situazione emotiva e si sollevasse dalla sedia scollegandosi dalla macchina all’improvviso, non solo si perderebbe il lavoro di ricerca, ma potrebbero esserci anche dei problemi di disorientamento mentale in chi sta compiendo il “viaggio”.
Jet era abbastanza seccato da quelle cinghie di pelle che, se pure in modo leggero, gli trattenevano i polsi: legare lui era come legare un cavallo selvaggio! La ragazza, invece, era molto tranquilla: aveva già testato l’apparecchio la prima volta con Joe, si fidava del professore e sapeva di fare la cosa giusta per un amico; inoltre, comprendere l’esistenza o meno di quel ricordo perduto, serviva anche a tutti loro per tutelare il “segreto” della squadra. Tuttavia le ultime parole del professore la turbarono un pochino: non aveva calcolato di poter assistere a scene che l’avrebbero scossa, anche se rivedere la base dei Black Ghost del loro periodo di prigionia era stato messo in conto. La voce di Gilmore la riscosse da quelle considerazioni.
- Adesso vi abbasserò questa visiera davanti agli occhi e potrà avvenire il “collegamento”: cercate di essere rilassati e concentrati il più possibile. Io resterò qui vicino. 007, ti consiglio di andare a fare un giro: è inutile che resti qua dentro.
- Dovrei andarmene a spasso mentre loro sono bloccati come salami per causa mia? 
- Certamente: ai fini della riuscita di questa cosa è importante che ti distrai più possibile: passeggia, leggi un libro, guarda la tv: insomma, fai quello che ti pare, basta che cerchi di rilassarti, capito?
Bretagna si rassegnò e uscì, mentre per Jet e Françoise iniziava quello strano “viaggio”.

All’inizio era solo buio; dopo un po’ il buio iniziò a diradarsi e apparvero delle sagome sfocate di edifici; ci vollero almeno un paio di minuti prima che Jet e Françoise potessero visualizzare chiaramente loro stessi in una strada poco frequentata illuminata dai lampioni. Le immagini erano completamente reali e i due si guardarono intorno.
- Fantastico – sbuffò Jet -  siamo qui nel paese di non-si sa-dove e lui non si fa neanche trovare! 
- Abbi pazienza! Questa cosa è un po’ come sfogliare le pagine di un libro per trovare il rigo giusto: sarà difficile avere subito fortuna! Comunque il posto è abbastanza riconoscibile: siamo in una via di Londra.
- Già, ovvio! – osservò, andando a toccare con titubanza uno dei pali della strada, come per sincerarsi di non essere una specie di ectoplasma!
- Non capisco… – domandò alla compagna - noi possiamo interagire con questo ricordo? 
- In maniera virtuale, si: me lo spiegò il professore tempo fa; in realtà qui noi siamo come una proiezione fatta su un dipinto: ci collochiamo sull’immagine senza tuttavia modificarla o farne realmente parte. Strano, vero? - 
- Quello che è strano è che io abbia accettato: credo che questa missione sarà piuttosto noiosa!
- Ehm … - Françoise tirò l’amico per una manica – Jet, se ti giri vedrai davvero qualcosa di “strano”!
002 si voltò verso la strada: un ragazzo biondo con i capelli solo poco meno scompigliati di quelli di Joe e con indosso un gilet sbottonato portato su una vistosa camicia arancione, avanzava camminando distrattamente nella loro direzione; solo quando fu a circa un metro da loro, Jet riconobbe Bretagna ed esclamò basito:
- T…tu hai i capelli!!!
L’altro si voltò, come se quell’esclamazione lo avesse fatto scendere dalle nuvole in quel preciso istante e, in meno di due secondi, la sua espressione passò dal meravigliato al divertito.
- Si, ma guarda: anche tu! Abbiamo una cosa in comune! Anche più di una: possediamo entrambi due braccia, due gambe, due occhi e un collo: non saremo mica gemelli?
La risposta del “futuro 007” meravigliò ancor di più l’americano.
“Ecco, lo sapevo: è sempre stato pazzo!”
- Visto che siamo così simili, posso fare qualcosa per voi? – domandò Bretagna, questa volta rivolgendosi a Françoise.
- Si, ecco…- tentennò la ragazza, che non si era posta minimamente il problema di dover attaccare bottone, tanto più che ciò che avrebbero dovuto scoprire non risiedeva di certo in quel ricordo - …in realtà ci siamo persi e il mio amico ha un modo molto originale di fermare la gente per strada!
- Lo vedo! – esclamò decisamente divertito. Diede loro una serie di informazioni e, dopo essersi trattenuto a fare due chiacchiere, fece per congedarsi.
– Mi piacerebbe restare qua con voi, ma vado di fretta: tra un’ora ho la mia performance al cabaret. Comunque, se dite che non avete altro da fare e vi va di venirci, siete miei ospiti!
- Perché no! – fece Françoise.
- Comunque di viso ha sempre dimostrato più anni di quelli che ha! – sussurrò Jet a Françoise – Il suo aspetto non si è mai sincronizzato col suo cervello!
- Quindi fai i monologhi comici? – domandò la ragazza.
- Per ora si, ma spero di cambiare presto: voi non immaginate quanto sia pericoloso il mio lavoro; rischio la vita ogni sera!
- In che senso?
- Nel senso che, se non gradiscono le mie battute, possono fucilarmi a colpi di noccioline o, peggio, a colpi di noccioli di oliva sparati direttamente dalla bocca! E’ il lavoro più pericoloso che abbia mai fatto!!
- Credo che tra qualche anno cambierai idea! – dopo questa battuta, Jet fu zittito definitivamente da una gomitata di Françoise nello stomaco. Bretagna non capì molto di quello che era stato detto, ma non si pose il problema: mentalmente era già davanti al pubblico.

- Questi sono amici miei! – disse G.B. al tizio seduto nel foyer.
- Vi ha conosciuti cinque minuti fa, vero? 
- Si, ma tra circa vent’anni ci conosceremo bene e andremo a vivere insieme! – rispose Jet.
- Bene! Tra l’altro se li carica svitati come lui!
Jet e Françoise si sistemarono a un tavolino rotondo in mezzo alla sala; il locale era molto frequentato e, benché la sala fosse relativamente ampia, i tavoli non avevano molta distanza tra loro; l’aria era satura dell’odore di sigaretta e la clientela molto eterogenea comprendeva sia individui vestiti in maniera elegante che soggetti dal look decisamente eccentrico, probabilmente degli artisti. Bretagna non tardò ad apparire sulla piccola pedana che fungeva da palcoscenico, accolto dagli applausi di coloro che, evidentemente, lo conoscevano e lo apprezzavano; si lanciò in un monologo che Françoise trovò molto divertente, mentre Jet, poco sensibile allo humor inglese accennò appena qualche sorriso forzato.
- …Avevo un amico che riusciva a stregare le donne grazie al suo sguardo magnetico e a frasi stereotipate che sussurrava nelle orecchie della fanciulla di turno, del tipo: “Voglio ballare con te tutta la notte!” Ma cosa dici, non lo farebbe neppure Fred Astaire! Io sono più sincero: una volta mi è capitato di dire a una donna: “resta con me, vorrei amarti tutta la notte!” e devo riconoscere che mi è andata bene, sono riuscito a portarmela a letto, se non fosse che lei a un certo punto mi ha detto: “Ok, i primi tre minuti sono stati grandiosi; cosa intendi fare per i restanti trecentocinquantacinque?”. Con voi posso ammetterlo, anche se forse non mi crederete: non riesco ad amare una donna per una notte intera! Ma non è cattiva volontà, è che poi la mattina dopo dormo in piedi e, se non sto attento, rischio di finire sotto un’auto, come l’altro giorno, che un tizio mi ha letteralmente puntato con la sua Ford solo perché transitavo su un posto per parcheggiare; lui sta quasi per uccidermi e mi fa: “abbia pazienza, di uomini ce ne sono tanti, di parcheggi liberi uno solo!” “E la vita umana?” sbotto io. ”No, la vita umana non mi dice nulla!” “Ah, allora è come il fiato di un avvocato senza parcella!” Comunque, come diceva Shakespeare, non facciamone un dramma!
Mentre aspettavano che l’amico si congedasse da alcune persone, Jet tamburellava le lunghe dita affusolate sul tavolo al ritmo del pezzo che un abile chitarrista stava eseguendo in quel momento. G.B. si avvicinò proprio quando il ragazzo che si stava esibendo riponeva lo strumento per lasciare il posto a un paio di dischi. Uscire da quel posto pareva impossibile, dato che pure il chitarrista si avvicinò per chiacchierare! Bretagna lo presentò a Jet e Françoise, che gli fecero i complimenti, mentre il loro amico li mollava nuovamente per parlare con un’altra persona. Jet sbuffò, mentre la ragazza cercò di distrarlo parlando con il chitarrista.
– Sei davvero bravo, lo sai? Lavori qui da molto?
- Da circa due mesi. Devo a Bretagna questo lavoro!
- Qualcuno che deve a Bretagna un lavoro! Mi sembra quasi un paradosso! – commentò 002, beccandosi l’ennesima gomitata dall’amica.
- Si – continuò il giovane – sapeva che ero in difficoltà e mi ha portato qui tirandomi dentro a uno dei suoi numeri; all’inizio non immaginavo come pensasse di farmi fare qualcosa, dato che lui è un comico e lavora da solo, ma poi tirò fuori una cosa che non aveva mai fatto: nel suo ultimo viaggio in Italia aveva ascoltato una canzone dal titolo “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, l’aveva tradotta e l’aveva cantata teatralizzandola, mettendomi a suonare per lui: un vero spasso! Faceva il narratore aulico, il re e pure la prostituta! Finito il numero, mi ha lasciato completamente la scena e, a quel punto, per lui è stato facilissimo convincere il proprietario a farmi restare! -
- “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”? E cos’è? – fece Jet.
- Glielo facciamo sentire, almeno il “momento topico”? - chiese il chitarrista a Bretagna, che si era riavvicinato. L’amico si mise a ridere.
- Solo una piccola strofa, però, senza momento topico, che poi devo scappare!
- Va bene! Io sono pronto! – il chitarrista iniziò a suonare e Bretagna iniziò la canzone, assumendo un’aria solenne.
- “Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor.
Al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del Sire vincitor.
Il sangue del Principe e del Moro
arrossano il cimiero d'identico color
ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite le bramosie d'amor.
"Se ansia di gloria, sete d'onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all'amore.
Chi poi impone alla sposa soave
di castità la cintura ahimé è grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave!"-
La chitarra si interruppe sulle prime strofe e gli amici applaudirono divertiti.
- Ora andiamo, altrimenti Harry mi uccide!
- Perché ti uccide? – domandò Françoise.
- Dobbiamo studiare per un provino ed è piuttosto dura; comunque voi potete stare lo stesso da me stasera: il mio coinquilino dà una specie di festa! Io, invece, avrò da fare per un bel po’…comunque non vi annoierete! 

A quel tempo GB abitava in una specie di sottotetto con un paio di coinquilini; le camere erano piccole, ma in compenso disponevano di un soggiorno spazioso dove spiccavano un divano e un tappeto ricoperto di cuscini, bottiglie vuote e posaceneri stracarichi di cicche. Quella sera in casa c’erano circa una quindicina di persone, tra uomini e donne, che ridevano, scherzavano e ascoltavano musica
- Jet, la bevi una birra? – fece Roy, allungandogli una bottiglia.
– No, grazie. – rispose, per poi sussurrare a 003: - Non si sa mai che può succedere, assaggiando una birra virtuale!
- Però lo spinello virtuale, poco fa, lo hai provato! - osservò l’amica con disappunto. Jet si voltò dall’altra parte facendo finta di niente e si rivolse a un tizio accanto a lui, un certo Ken.
– Ma che cavolo di fine ha fatto Bretagna?
- Si è barricato di là con Harry a lavorare. Che mattoni!! 
- Non è che è una scusa? – rise un altro.
– Naaa, magari!! Almeno non dovrei sopportare periodicamente il dopo sbornia di certe sgallettate!! – rispose Ken.
- Allora mi sa che sei tu, quello che vorrebbe chiudersi di là con loro!! 
- Vabbè, ho capito: Bretagnaaaa!!!
- Cosa c’è? – rispose l’amico, venendo fuori al quarto tentativo di chiamata.
- Allora, non vieni di qua? Stai studiando da un’ora!
- Come pensi che mi prenderanno per la parte, se non la imparo?
- Ma dai! Poi la impari lo stesso!
- Dici?
In quel momento si affacciò Harry Brown sulla porta, con una faccia serissima.
- Bretagna, lascia perdere Ken e torna al lavoro! Finché non finiamo il terzo atto, non ci muoviamo da qui dentro!
– Sentito? Mi piacerebbe venire di là, ma ha ragione Harry: prima completiamo il lavoro!
- Prima non eri così; sei diventato una palla, Bretagna! Anzi, tu ed Harry siete due palle!!
Gli altri risero, ma G.B. non se la tenne:
- E tu, Ken, sei un membro moscio! – ora gli amici si reggevano la pancia per le risate, soprattutto guardando la faccia che aveva fatto Ken! Bretagna continuò:
- Ti faccio notare: a) che non sono stato scelto per il ruolo di Romeo accanto a Olive proprio perché non avevo studiato un accidente; b) che tu sei l’unico attore che si ritiene soddisfatto a vita solo per aver interpreto uno spot per la cura delle emorroidi!
Ken si ritirò dal suo proposito di prendere in giro l’amico e ripiegò col resto della compagnia. Dopo quasi un’ora e mezzo Harry e Bretagna vennero fuori dalla stanza.
Françoise iniziava a domandarsi quando sarebbero usciti da quel ricordo che pareva essere vissuto in tempo reale e azzardò a G.B. una domanda, augurandosi che questa avrebbe provocato la cessazione di quella situazione.
- Si è fatto davvero molto tardi…ora ve ne andrete a letto!
- Ma no, che dici! – fece 007 – dopo tutta questa tirata ho bisogno di ossigenare il cervello! Si va un po’ al pub qui vicino e poi vediamo!
“Ma è passata l’una di notte da un pezzo!! Che razza di orari facevi, Seven?!?”
- Io ho sonno – disse Harry – ci vediamo domani!
- Ahhh! Harry è davvero precisino, non so come faccia! Allora, usciamo?
Il locale non era eccezionale: era affollato soprattutto di studenti ubriachi e militari e una coltre spessa di fumo galleggiava nell’aria. 003 si allontanò un momento verso il bancone, sperando che, staccandosi da 007, avrebbero in qualche modo interrotto quel ricordo che sembrava essere andato in loop. Un ragazzo alto e allampanato in uniforme le si avvicinò.
- Beve qualcosa? 
- Ah, no, grazie…
- La signorina è con me! – intervenne Bretagna, tirandola da parte. Lei arrossì e lo spilungone si scusò mortificato, avviandosi verso un’altra ragazza, dall’aspetto non proprio avvenente, che stava da sola appoggiata al bancone. Bretagna lo salutò col saluto militare e, dopo averlo seguito con lo sguardo, commentò:
- In tempo di guerra ogni buco è trincea!
- Sei un po’ cattivo: magari gli piace!
- Il viso, in certi casi non conta! – rispose l’amico scrollando le spalle e facendo alterare visibilmente la ragazza.
- E quand’è che conta, se conta qualcosa?
- Conta quando sei innamorato! Ma non è il caso del nostro bel militare: la signorina in questione è una professionista del libero amore, libero nella misura in cui si allarga il portafoglio! Ci pensi, com’è romantico, con la luna in riva al fiume e le luci dei lampioni che si riflettono sull’acqua, pagarle una prestazione?
Françoise incrociò le braccia sbuffando, mentre si avvicinava una bella ragazza dai capelli castani con gli occhi vivaci.
- Bretagna! Dovevo immaginarlo, che eri qua!
- Sophie! Che bello vederti! Se aspetti un minuto beviamo qualcosa tutti e tre!
Solo allora la ragazza notò Françoise e le sfuggì un lieve sguardo preoccupato. Intanto GB, senza neppure aspettare la risposta, era andato a ordinare qualcosa. 003 ci mise qualche attimo per capire con chi aveva a che fare.
- Piacere…Io sono Françoise – farfugliò imbarazzata e incuriosita al tempo stesso – e…sono qui con Jet! – indicò il rosso che stava seduto di spalle al bancone. Non è che avesse alluso a una relazione con lui, ma questo sembrò rilassare la ragazza, che le regalò un sorriso luminoso e le tese la mano presentandosi come una collega di Bretagna.
- Allora…tu sei Sophie! Bretagna mi ha parlato un sacco di te! – Non era del tutto vero, ma sapeva l’importanza che quella ragazza aveva avuto per il suo amico.
- D…davvero? – domandò lei arrossendo – E cosa ti ha detto?
- Bhe, ecco… Che sei una brava attrice e…credo che tu gli piaccia!
La ragazza non riuscì a nascondere la sua espressione meravigliata e felice al tempo stesso, ma poi cercò di parlare in modo concreto.
- Non so se è vero…non mi conosce da molto e, fino a poco tempo fa, credo che avesse una storia con qualcuno, o qualcosa del genere…Sai, devo confessarti che ero venuta qui apposta sperando di incontrarlo!
- Com’è che ti piace tanto? – fece Jet, voltandosi incuriosito – Non è un granché, anzi è piuttosto bruttino! – Françoise lanciò uno sguardo di disapprovazione all’amico, ma Sophie non batté ciglio, conservando la sua espressione serena e piena di luce, incurante del fatto che stesse parlando dei suoi sentimenti a due perfetti sconosciuti.
- Si, ce ne sono migliaia più belli di lui, ma lui è una persona davvero speciale: è sempre allegro, si preoccupa dei suoi amici, ha una passione enorme per quello che fa e riesce a interpretare qualunque cosa…io lo trovo fantastico!
I due amici rimasero meravigliati da quella che era un’autentica dichiarazione d’amore. Jet si chiese come avesse fatto l’amico a perdere una storia come quella in un mondo dove la cosa più complicata che possa capitarti è essere ricambiato nei sentimenti; poi si ricordò di tutto quello che era riuscito a perdere lui stesso, e si morse il labbro evitando di parlare. Intanto Bretagna era tornato con dei whiskey e una birra, appoggiandoli al tavolino.
-  Mi ricordo che ti piace quella nera, giusto? – disse rivolto a Sophie.
- Si, ma…- rispose lei, sperando di non essere stata ascoltata e guardando in direzione di due ragazze che le facevano cenno di sbrigarsi - …ormai si è fatto un po’ tardi e le mie amiche vogliono andar via…Magari potremmo fare un’altra volta…
- Va bene. – disse lui, un po’ deluso – A sapere che ti avrei incontrata sarei venuto prima!
- Facciamo così: io sarò qui domani sera, così adesso lo sai! – sorrise lei, salutandolo.
Jet continuava a trovare comodissimo lo sgabello del bancone, mentre Fran prese posto al tavolino di fronte a G.B. e iniziò a chiacchierarci, cercando di buttare il discorso sul suo lavoro per evitare di alludere ad argomenti con i quali avrebbe potuto discutere col Bretagna del presente.
- …In passato ho già perso un ruolo importante vicino a una persona importante a causa della mia pigrizia: non deve succedere più!
- Questa Olive?
- Ah, si…ne avevo parlato prima! E’ stata la prima ragazza che mi sia mai piaciuta davvero, ma fra di noi non è accaduto niente di più che uno scambio di appunti a lezione!
- Però, a sentire Ken, non te la cavi male con le donne! – le veniva da ridere, pensando a quant’era maldestro l’amico nel presente e non resisteva alla tentazione di prenderlo un po’ in giro.
- Bè, sai, a portarsi a letto una ragazza ubriaca non ci vuole molta arte: l’unica dote che occorre è essere vivo! Lo so, è squallido, ma mai detto di essere virtuoso! L’amore, però, è troppo complicato…l’amore è una cosa differente …
A 003 pareva assurdo pensare che 007 avesse mai fatto qualcosa del genere: non gli sembrava da lui e preferì non rifletterci per non rovinarsi l’immagine che conosceva del suo amico.
Bretagna stava servendosi un altro whiskey e Françoise frappose la mano tra la bottiglia e il bicchiere.
– Bretagna, ti prego – disse lei fissandolo intensamente con una profonda malinconia negli occhi – non bere così tanto. Non farlo, per favore. – lui restò un attimo stupito e vagamente turbato, poi ci scherzò su come sempre.
– Ma dai! Non bevo poi così esageratamente! Se lo sembra, è perché non hai mai visto Ken! E poi un bicchierino tra amici migliora la compagnia!
Lo sguardo di Françoise restò immobile, al che lui alzò le mani al cielo e lasciò la bottiglia sul tavolo.
– E va bene! Per due occhi tanto belli si può anche rinunciare al miglior whiskey del pianeta! 
Françoise commentò quella cosa con Jet:
– Hai visto? Non ha più toccato il bicchiere! Possibile che nessuno sia mai riuscito a farlo smettere?
- Françoise, quando hai un vizio gli altri possono aiutarti, ma non possono levartelo: quello devi farlo da solo, prima di tutto accorgendoti di averlo, il vizio! Ad ogni modo, al di là di tutto quello che è successo, quando Bretagna è “precipitato” lo ha fatto perché così ha voluto!

Intanto, nel “mondo reale”, Bretagna cercava di fare ciò che gli aveva detto il professore; aveva iniziato a leggere un libro, ma concentrarsi gli era impossibile; la casa deserta non lo aiutava certo a distrarsi.
– E pensare che quando vuoi stare da solo è un porto di mare! – disse a sé stesso – Se ci fosse stato Geronimo, questa era la volta buona che gli chiedevo di insegnarmi a intagliare il legno, così mi affettavo un dito e pensavo ad altro una volta per tutte! – Sbuffando si alzò dal divano e, presa la giacca, uscì incamminandosi sul viale.
– E’ assurdo! Con questo stato d’animo non riesco a fare la cosa che mi riesce meglio in assoluto: oziare! – tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette; di solito non ne fumava, ma ne estrasse una, l’accese e aspirò profondamente.
– Perfetto. Ora sono a posto: ho preso anche gli atteggiamenti di Albert quando è nervoso! Questa è l’anticamera della psicopatia…pardon – si corresse – l’evoluzione! Devo assolutamente darmi una calmata! –
Gettò a terra la sigaretta, consumata solo a metà.
“Tipiche movenze delicate della persona calma!” si disse, come se in quel gesto si fosse visto allo specchio. Arrivò sulla spiaggia e si sedette un poco, accendendosi un’altra sigaretta.
– E’ tutto a posto. Non ci sono problemi, almeno finché fumo: sono un alcolista, mica un fumatore! Basta che non bevo! Però, forse un goccetto mi distrarrebbe…Nooo, che cavolo vado a pensare!!! Ho capito: prendo la macchina e vado un’oretta al ristorante di Chang; il professore ha detto che il chip funziona fino a 40 km di distanza. Magari adesso il locale è pieno di adorabili clienti rompiscatole e c’è bisogno di un aiuto ai tavoli! - si sollevò in piedi, scuotendo la sabbia dai pantaloni - La psicopatia avanza: mi sto offrendo volontario al ristorante!
Contrariamente alle aspettative, l’ultimo cliente aveva lasciato il ristorante mezz’ora prima; generalmente riassestare la sala e la cucina impegnava parecchio il cinese, ma, stranamente, quando Bretagna varcò la porta del locale, lo trovò appoggiato a uno dei tavoli, con il grembiule abbandonato sulla sedia accanto a quella dove sedeva preoccupato e pensieroso. Non appena sentì la porta che si apriva, si voltò a guardare chi fosse.
- Come mai da queste parti? Fuori c’è lo tsunami? 
- Fuori no ma dentro si, per restare in una metafora poetica. Che hai, vecchio mio? Come mai così giù? 
Chang seguiva col dito le venature del tavolo e parlava con sé stesso a bassa voce:
“…E adesso che faccio? Non so proprio se dovrei dirglielo oppure no…”

La luce inondava completamente il soggiorno della soffitta che G.B. occupava da ragazzo. Françoise e Jet erano come rimasti prigionieri in quella dimensione spazio temporale, quasi vi fosse una resistenza che impediva loro di essere altrove. Quando il campanello della porta suonò e Bretagna andò ad aprire mezzo addormentato, la sensazione che loro avevano addosso era quella di aver trascorso una notte sullo sgualcito divano che troneggiava nella camera.
- George, che ci fai qui così presto?
- Sono le 11 e un quarto, signore. – rispose il tale sulla porta, un uomo sulla cinquantina vestito da autista, dall’aspetto talmente preciso che pareva uscito da un film.
- Oh... le 11 e un quarto…lo dicevo che era quasi l’alba! Che succede?
- Vostro zio vuole parlarvi con urgenza. 
- Se è così urgente…Mi do una sistemata e arrivo. Ma, secondo me, sarebbe stato più necessario avere urgenza prima del manifestarsi dell’evento nefasto. 
- Quale evento nefasto, signore?
- Quello che, sicuramente, ha spinto mio zio a comunicarmi con urgenza e che, francamente, non so quale sia! 
- Hai uno zio? - fece Jet.
- Si, incredibile, vero? Siamo in pochi, a possederne uno!
In pochi minuti si ritrovarono tutti e tre in silenzio su un’elegante auto decappottabile che attraversava la verde campagna inglese. Françoise non poteva fare a meno di sbirciare perplessa il viso del suo amico da giovane, il quale, sentendosi osservato, le rivolse un sorriso pensieroso. Poi, come se niente fosse, cominciò a cantare “strawberry field forever”. Jet sorrise: avevano assistito a centinaia di monologhi, ma non era frequente sentire il loro amico cantare!
– Dai, George, rilassati anche tu! Cos’è quella faccia seria? Canta un po’, che ti fa bene! 
L’autista sospirò, poi si mise anche lui a cantare una strofa della canzone, divertendosi visibilmente. Andarono avanti fino alla fine del pezzo, poi Bretagna gli fece una domanda:
- Non mi vuoi proprio dire niente del motivo di questa convocazione? 
- Non mi pare opportuno, signore. Dovrei farmi gli affari miei! 
- E’ perché ho preso in giro la regina? 
- Ha pure preso in giro la regina?
-Non si può non nominarla, finché si ostina a indossare delle quaglie sul cappello! Comunque, per carità, Dio salvi la regina! E quel poveretto del re buttiamolo alle ortiche! – fece un attimo di silenzio, sperando che l’autista gli togliesse la curiosità sul perché lo zio desiderasse tanto vederlo, ma, vedendo che non si sbottonava, ricominciò a pregarlo - E dai! Non ti sto mica chiedendo di raccontarmi il film: voglio solo il trailer!
L’uomo sospirò rassegnato.
– E va bene: in primis credo vi siano state delle polemiche circa la vostra performance dell’altro ieri sera: non ci avrete badato, ma lord Churrington era presente nel locale e, pare, sia rimasto alquanto scandalizzato…
- Caspita! – esclamò Bretagna sgranocchiando la mela che aveva appena estratto dalla sua borsa – Lord Churrington frequenta locali così brutti? Fossi in lui non lo racconterei troppo in giro, che mi ha visto: qualcuno potrebbe scandalizzarsi! Ad ogni modo è un bene che   non fosse presente la sera prima: so che è debole di cuore! – L’autista scosse la testa.
- Tutto qui? E in secundis
- In secundis…- George fece una piccola pausa per mettere insieme il concetto cercando di non essere offensivo – …in secundis, penso vi sia un problema riguardo le sue scelte, signore, non me ne voglia…Suo zio ha scoperto quella sua relazione con una certa ballerina, ragazza madre…
- Oh, già, Liz! Ha un bimbo adorabile! 
- Signore, ma non è suo figlio! 
- Mica è colpa mia: è difficile mettere incinta una donna prima di conoscerla! A ogni modo, la storia è già finita da un mese, ora siamo solo buoni amici…
- Si, ma, a quanto pare, adesso sta frequentando un’attricetta,  una certa Sophie…
- Con Sophie siamo solo amici, ma spero di finire presto l’amicizia e di iniziare qualcos’altro! E non è “un’attricetta”: è seria e molto brava! 
- Non lo metto in dubbio, signore…
- …Tra l’altro non capisco: mio zio ha sguinzagliato la CIA per tenermi d’occhio? Non comprendo quale problema possano arrecargli le mie scelte considerando che ho perfino cambiato nome per non portare scandalo alla famiglia! 
- Forse…semplicemente è ancora scioccato dalla professione e dal tipo di vita che lei ha scelto di intraprendere…magari avrebbe preferito vederla avvocato, oppure addetto alle finanze, o militare in carriera…
Davanti a quell’elenco di professioni, Jet non poté trattenersi dal ridere, ma fu interrotto bruscamente da una gomitata di Françoise.
– Effettivamente la cosa è alquanto comica – commentò Bretagna - come avvocato finirei col recitare in tribunale, come finanziere…faccio fatica a farmi dare il resto giusto al pub! E la carriera militare…ci ho provato per un po’ solo per scappare di casa, ma poi sono scappato anche da quella: semplicemente agghiacciante e mortificante di ogni forma di creatività! Ma, in realtà, io posso essere avvocato, finanziere e militare: quando sono sul palco posso essere tutte queste cose più altre mille! Non esiste niente di più bello che vivere tante vite diverse anche se nello spazio di due ore! –
A Francoise luccicavano gli occhi: sapeva bene che significava vivere quel tipo di passione!
– Si, ma…- continuò l’autista – il teatro poteva essere un hobby, non c’è niente di male…è tutto quell’ambiente che lei frequenta, quella scuola, le persone…voglio dire: credo che suo zio sia leggermente preoccupato.
- Dubito che mio zio sia davvero preoccupato per me; penso che sia molto più preoccupato del fatto che sono suo nipote! E le persone che frequento sono un po’ “eccentriche”, ma tutte a posto. Comunque…è una questione di libertà, George. Se vuoi essere libero devi pur rischiare qualcosa, no? Pagare un prezzo…è normale, non ti pare? 
George sospirò di nuovo.
– Mi dispiace che se ne sia andato, signore. 
- Dispiace anche a me, ma non avevo scelta!    
Lo scenario cambiò di colpo e i prati verdi furono sostituiti da un teatro vuoto dove gli attori erano impegnati nelle prove; 007 era tra loro, ma questa volta non li vide: loro erano al buio tra le sedie e lui aveva i riflettori negli occhi; assistettero all’atto terzo dell’Amleto, quando la scena mutò di nuovo trasportandoli in cima a una montagna innevata: il loro amico era lontano e saliva su un fianco roccioso con altre persone.
- Che succede? – si chiese Jet – sembra quasi un cambio di diapositive! Siamo rimasti non so quanto tempo prigionieri di un unico ricordo, e adesso non facciamo neanche in tempo a fissare le immagini!
- Non so che dirti: potrebbe dipendere dalla macchina, o da noi: magari siamo stanchi e poco concentrati…oppure…potrebbe dipendere da 007: forse, inconsciamente, sta deviando la nostra attenzione per allontanarci dalla verità! Ad ogni modo, cerchiamo di focalizzare i nostri pensieri su quando eravamo alla base dei Black Ghost…
Lo scenario mutò non appena la ragazza ebbe pronunciato quelle parole, ma non erano alla base dei Black Ghost, bensì in una nebbiosa strada di Londra.
Lei rivide in qualche modo se stessa il giorno in cui la sua vita mutò per sempre: lo stesso modello d’automobile, gli stessi uomini vestiti di scuro…
- 007, no!! Non salire su quell’auto!!Non devi farlo! Nooo!!
- 003, calmati! – urlò Jet scuotendo la ragazza, mentre la macchina spariva nella nebbia – Tutto questo è già successo, non puoi cambiare niente! Calmati! Non perdere la concentrazione! 
Françoise capì che era questo il genere di situazioni di cui temeva il dottor Gilmore: c’erano dei ricordi che erano “condivisi” da tutti e non era facile relazionarvisi.
– Io…è la stessa auto sulla quale sono salita io...quel giorno maledetto!
- Anche io, ci sono salito sopra. E quel che è peggio, a differenza tua, sono stato così idiota da salirci volontariamente! 
Il nuovo cambio di scena li portò nel luogo desiderato: erano nella base dei Black Ghost e, questa volta, era di fronte a 007 così come lo conosceva lei; lui le stava parlando, come se stesse continuando un discorso:
- … mi raccomando, stai bene attenta a non distrarti: molto dipende da te…senza contare che, poteri a parte, tu potresti convincerlo solo per quanto sei carina! 
La ragazza non fece in tempo a replicare, che sentì la risposta venire da se stessa: si accorse di un fenomeno straniante: il suo corpo era come un ectoplasma sovrapposto alla sua stessa immagine!
– Sei il solito sciocco! – rispose la Françoise del ricordo – 009 non sarà certo dei nostri perché, come dici tu, sono “carina”! Piuttosto stà attento a non distrarti tu: spetta a te “sequestrare” il professore!
Françoise ricordò quello scambio di battute: era il giorno della loro fuga, anche se mancavano ancora diverse ore al test di 009; evidentemente il fatto che lei facesse parte di quel ricordo la rendeva invisibile. La Françoise del ricordo portò un dito alle labbra facendo cenno di tacere: si stava avvicinando qualcuno. Dal corridoio sinistro arrivò il professor Lambert, che annunciò ai due di andare insieme agli altri a prepararsi per testare il nuovo cyborg: disse a Françoise di andare da Gilmore e a Bretagna di seguirlo. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa e si divisero.
Di colpo, ci fu una specie di lampo rosso. La scena cambiò di nuovo: un salone elegante, con un signore distinto che leggeva alcuni documenti e una bambina che faceva i compiti. 003 ebbe paura nel trovarsi sola: aveva perso Jet dal ricordo precedente, ma la familiarità della scena l’aveva distratta! Questa volta, però, non ebbe il tempo di capire se la sua immagine fosse visibile ai presenti oppure no: mentre cercava di capacitarsi del posto e delle persone, un’ombra scura attraversò la porta che dava sul balcone e un grosso corvo si appoggiò sul pavimento della stanza. Fu tutto velocissimo: l’uccello che prendeva forma umana, estraeva una pistola (non il loro paralyser, ma un’arma antica, mai vista prima), la puntava a distanza ravvicinata alla gola dell’uomo e sparava. Poi: la pozza di sangue, la bambina che urlava, l’arma lasciata cadere sul pavimento tra le mani della vittima, uno sguardo gelido e distaccato alla piccola testimone e tutto che spariva in mezzo a un vorticare di piume nere, trascinando dietro la coscienza di Françoise. La ragazza si ritrovò sulla sedia accanto a Jet: non riusciva a smettere di singhiozzare, mentre il professore cercava di farla riprendere.
Jet l’aiutò a sollevarsi e a mettersi su una poltrona, mentre Gilmore le passò un bicchiere d’acqua. Quando si fu calmata riuscì solo a dire: - Io… io non me lo spiego, ma…quella ragazza dice la verità!
Il professore trasalì, mentre Jet annuì col viso mesto:
- Lo so: in quel momento non mi hai visto, ma ero con te e ho assistito alla scena. L’ho guardato bene in faccia e…posso solo dire che non era lui! Non aveva alcuna emozione!
- Questo l’ho notato anch’io…
Intanto il professore era assorto nei suoi pensieri, attraversato da un fremito interiore che i ragazzi non riuscivano a cogliere.
003 aveva appena fatto in tempo a riprendersi quando Bretagna rientrò a casa e li raggiunse. Aveva un’espressione indecifrabile, quando si avvicinò all’amica.
- Françoise, perdonami per ciò che hai visto, anche se non so di che si tratta... 
- Perché pensi che il tuo passato dovrebbe avere qualcosa di problematico per me? - rispose, cercando di eludere leggermente la cosa.
- Non lo so, ma hai gli occhi lucidi…
- I…io, ecco…
- Non preoccuparti, tanto so già tutta la verità.
Françoise fissò l’amico con stupore: il suo sguardo aveva dentro una consapevolezza e una malinconia infinita.
- Va bene. – disse il professore con la voce seria – Usciamo da questa stanza e andiamo a parlare nel mio studio.
Gilmore prese posto dietro la sua scrivania, accendendosi la pipa per cercare di rilassarsi, Françoise e Bretagna si sistemarono sulle sedie di fronte a lui, mentre Jet preferì starsene in piedi appoggiato a una delle librerie. 007 iniziò a raccontare.
- Curioso: mentre io non riuscivo a ricordare, Chang invece si è ricordato di un dettaglio che aveva rimosso del tutto: quel giorno, il giorno della nostra fuga, pochi istanti prima che entrassimo in azione, mi trovò nel corridoio in uno stato che sembrava di trance…notò che su uno dei miei bottoni c’erano delle gocce di sangue e mi scosse forte…a quel punto ripresi conoscenza e mi comportai come se niente fosse, come se avessi avuto una specie di colpo di sonno…realizzai di non ricordare nulla dal momento in cui avevo messo piede nel laboratorio del professor Lambert fino a quell’istante; in quel momento ci chiamarono per raggiungere gli altri perché il test di 009 stava iniziando e dopo, per ovvie ragioni, dimenticammo completamente quell’episodio…Adesso, dopo anni, è tutto molto chiaro: in quell’arco di tempo sono stato inviato a uccidere Edward Davis.
- Avrei dovuto immaginarlo! - disse il professore, pieno di rabbia - E’ stato Lambert! Ha approfittato del fatto che eravamo tutti concentrati sul test di 009 per sperimentare le sue teorie a mia insaputa e ha pensato bene di farlo scegliendo una vittima tra le tante persone che l’organizzazione sorvegliava da tempo: solo così sarebbe stato possibile eseguire tutto così in fretta!
- Perché io? – domandò 007, guardandolo negli occhi.
- Perché tu, più di chiunque altro, avresti potuto infilarti con facilità nella villa, aprire l’armadio dove Davis teneva le sue armi antiche senza essere visto e avvicinarti velocemente a lui, colpirlo con la sua stessa pistola simulando l’incidente e scomparire.
Mentre Gilmore parlava, 007 ripercorreva mentalmente quella sequenza di azioni, quasi rivedendosi, mentre una voce nella sua testa gli dettava ordini in modo freddo e schematico. Poi aggiunse lui stesso la motivazione che il professore, nella sua risposta, aveva pietosamente omesso:
- …Perché io, più degli altri, non avrei opposto alcuna resistenza alla forma di ipnosi praticata dal professor Lambert. Perché io ero molto più debole di chiunque altro tra noi.
- Non dire sciocchezze! – esclamò 003 – nessuno di noi avrebbe potuto sottrarsi a una cosa simile!
- E’ come dice Françoise. – confermò il professore.
- Voi dite? Dite che 005, per esempio, non si sarebbe subito accorto di quello che gli facevano e non si sarebbe opposto?  Oppure 004?
- Va bene! – sbottò 002 – Diciamo che tu gli hai fatto guadagnare dieci minuti di tempo, ma il risultato sarebbe stato sempre lo stesso anche con chiunque altro! Contento?
– Io…Credo che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in me…
Ci fu un lungo attimo di silenzio e questa volta fu Jet a non sopportare più tutta la tristezza sulle facce degli altri e a voler rompere la tensione cambiando tono:
- Che ne pensi di smetterla con l’autocommiserazione e ricominciare con la tua solita recita di quello che si vanta per niente? …Invece vogliamo parlare del fatto che il viaggio nel tempo è stata solo una cosa del tutto superflua?
- Non penso. – obiettò Françoise – intanto abbiamo avuto delle conferme al di là del racconto di Chang…
- Già, già – commentò 002 - e poi abbiamo testato la macchina del professore! Però potevo andare a trovare qualche gruppo rock del passato invece che 007 da giovane!
Bretagna sorrise e scosse la testa: d’altronde Jet stava facendo esattamente ciò che avrebbe fatto lui se al suo posto ci fosse stato un altro!
– A me è piaciuto vedere la Londra di diversi anni fa e vedere quello che facevi da ragazzo! – intervenne Françoise. Jet rispose di rimando rivolgendosi all’amico:
- Più che altro è stato divertente vedere che, a parte che studiavi e non ti davi alla delinquenza, eri peggio di me!
- Detto da te lo prendo come un complimento! – disse 007, sollevando leggermente le spalle.
- Adesso, però, fammi una cortesia: piantala con questa faccia da funerale! Tu non hai nessuna responsabilità in quello che è successo! E’ stata solo colpa dei Black Ghost!
- Già… E il fatto di aver messo a disposizione il mio corpo per quello che è stato fatto dici che non conta niente?
- TU NON HAI MESSO A DISPOSIZIONE UN CAVOLO DI NIENTE!! LA PIANTI UNA VOLTA PER TUTTE??!
-  Si, ma nulla sarebbe accaduto se non mi fossi lasciato andare…se i Black Ghost non mi avessero mai preso. In qualche modo sono comunque responsabile….
Jet non resistette all’impulso di afferrarlo per il bavero della camicia, sotto gli occhi spaventati di Françoise. Non sopportava che l’amico si desse addosso, ma quella frase, involontariamente, era anche un’implicita accusa a lui, che si era fatto catturare in circostanze diverse ma in modo analogo. L’americano cercò di contenersi e si limitò a guardarlo in faccia, scandendo le parole:
- Adesso apri bene le orecchie: smettila di dire e pensare idiozie! Tu, volontariamente, non sei in grado di fare del male a una mosca! E ricordati che io non sono carino, delicato e discreto come tutti gli altri qui dentro: se ti trovo ad autoflagellarti e a rimuginare questa storia come se tu, cosciente di tutto e pienamente consapevole, avessi commesso un omicidio a sangue freddo, sarò io stesso a fornirti dei motivi reali per soffrire!! – detto questo, mollò la presa bruscamente e si allontanò. Françoise guardò interdetta Jet che si allontanava e poi Bretagna, che rimetteva a posto la camicia con lo stesso sguardo addolorato di pochi istanti prima. Anche Gilmore aveva lo sguardo malinconico. Il professore si rivolse alla ragazza.
- Scusami, cara, potresti lasciarci per un paio di minuti?
- Certamente, professore. – rispose 003, chiudendo la porta alle spalle.
Quando furono soli, Gilmore batté entrambi i palmi sulla scrivania scuotendo il capo, in un gesto esasperato. Anche lui, per ragioni diverse, aveva a che fare con quella storia.
- Mi dispiace che sia tu a dover fare i conti con questa scoperta, ma era molto importante capire ciò che era realmente accaduto: adesso so per certo che Lambert, contravvenendo alle mie direttive, ha sperimentato le sue teorie su di voi! Io…se penso che potrebbe aver fatto questo anche a 003!! La verità è che alle mie colpe si aggiunge anche quella di non avervi saputo proteggere dopo aver compreso il male che ho fatto!!
Era più uno sfogo, un monologo, un modo per chiedere la millesima volta perdono ai suoi ragazzi, ma questa volta centrò qualcosa nei pensieri di 007.
- …Non ci avevo pensato…
- A cosa?
- A questo…a come sarebbe stato terribile se fosse accaduta la stessa cosa a Françoise… Se lo ha fatto solo a me, risparmiando persone come Chang e Françoise, allora va bene…Preferisco pensare questo; mi ripaga di quello che sto provando.
Il professore scosse la testa.
- Sul serio! – continuò 007, con più convinzione, cercando di consolare a sua volta l’anziano – Pensare questo mi fa stare meglio. Coraggio, professore, vedrà che passerà anche questa!

I ricordi possono essere un paradiso dal quale non possono toglierci, ma possono anche essere un inferno dal quale non possiamo scappare.
(John Lancaster Spalding)

 

© 10/07/ 2025

 



 
 


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